Mai avrei creduto che Mario Draghi accettasse di fare il Premier di un paese sfilacciato. Lui, un “Padrone”, a 74 anni, al culmine di un incredibile cursus honorum ! Mai che, con grande discrezione, manovrasse per non salire al Colle, e così restare Premier fino al 2023, malgrado la scelta mascherata di Sinistri, Destri, Establishment, di liberarsene. Non dimentichiamo mai che un leader ha sempre, per dirla con il vecchio Michel Crozier, una sua strategia privata, personale, che non necessariamente coincide con quella dell’organizzazione che governa o vorrebbe governare.
Nel nuovo mestiere è partito pimpante, ma il percorso è lungo, pieno di buche e di tranelli. In termini di puro mio divertissement giornalistico faccio alcune considerazioni, premetto dal valore profetico zero.
Deve scegliersi l’Azionista. Se vuole governare, in assenza di un partito che non ha, deve battezzare come “suo” azionista la maggioranza silenziosa del Paese, da sempre collocata in un indistinto “centro” dello scenario politico. Nata nel Quarantotto, consolidatasi nel pentapartito democristiano e poi nel cattocomunismo moroteo-berlingueriano, è quella che, piaccia o meno, ha deciso finora le elezioni, spostandosi a volte su un lato della barca, a volte sull’altro.
Come fare allora? Ormai nessuno dei sei partitini (cinque al governo, uno all’opposizione) può competere in termini di comunicazione politica con lui. Osservatelo durante le sue conferenze stampa. Si porta dietro alcuni ragazzi-spazzola che chiama ministri, costoro parlano la lingua morta del politichese, nessuno li ascolta, tutti pendono dalle sue labbra. Le domande (imbarazzate-imbarazzanti) le fanno giornalisti appena usciti, esausti, dalle lotte in redazioni in crisi. Il tutto mi ricorda il teatro giapponese Kabuki. Le sue risposte sono rasoiate, usa un linguaggio del corpo in modo coerente con la sua impeccabile leadership, il tutto nel tipico modello del CEO capitalism in purezza: assenza di intermediazione della politica e dei media.
Inoltre, ha avuto un’intuizione geniale. Trasformare il “popolo dei vaccinati” in un partito-non partito, inglobandolo nella vecchia “maggioranza silenziosa”, con il “green pass” a mò di tessera di partito e gli “hub vaccinali” come sezioni. Le votazioni del 2023 tanto sognate dai sei partitini potrebbero trasformarsi per loro nella tempesta perfetta che li infilerà, uno a uno, nei loro cul de sac di competenza.
Se poi, da qui al 2023, Mario Draghi deciderà di ricomporre la trama del tessuto politico-morale del paese, attraverso il ripristino della “tolleranza di stato”, quella dei Romani, ricuperando parte del Paese, passerà alla storia. Per secoli, da Romolo fino all’arrivo dei cristiani, non si trova un solo cittadino romano perseguitato per le sue idee e le sue parole. Cicerone dubitò di tutto, Lucrezio negò tutto, salvo gli dei, Plinio il Vecchio negò addirittura gli dei. Nessuno fu mai neppure rimproverato. Il Senato mantenne la barra dritta della democrazia romana con la frase “Deorum offensae diis curae” (Tocca agli dei vendicare le offese fatte agli dei).
Lo farà? Troppo presto per dirlo, per ora mi viene solo l’interiezione “Boh” (secondo la Treccani: incertezza, incredulità).