Quelli che i globalisti chiamano sovranisti (che bello quando c’erano solo destra e sinistra, per foruna globalisti e sovranisti sono nel loro interno spaccati in “di destra” e “di sinistra”) non hanno preso bene la vittoria di Emmanuel Macron, alcuni sfogano la loro rabbia sull’euro, sull’Europa.
Non hanno ancora capito che i cittadini non sono interessati alla moda di parlare male dell’Europa, così dell’euro, ma al contempo non fare nulla di operativo, solo chiacchiere velleitarie, fumose, incomprensibili. Come Marine Le Pen, suicidatasi in diretta tv proprio su questi due temi. Una premessa: mi sembra idiota uscire da un club ove era stato idiota entrare, senza una exit strategy molto articolata e precisa. Due idiozie in successione non sono ammesse. Alcuni esperti valutano vicino il momento ove, per l’Italia, il costo per uscire dall’euro diventa neutro rispetto al costo di rimanerci, ma la modalità di uscita ancora non è stata trovata. Ergo, se la maggioranza dei cittadini lo vuole veramente, attrezziamoci pure all’uscita, ma fino ad allora puntiamo a uscire tutti insieme. Quando? Lo sappiamo, quando e se converrà alla Signora Merkel.
Ciò premesso, invito gli amanti di queste speculazioni intellettuali di leggersi una “Guida pratica” elaborata da un centro britannico di ricerche economiche. Il protocollo definisce le due fasi basiche: a) adozione della nuova (vecchia?) valuta, con la ridenominazione di salari-prezzi-dati finanziari; b) il mutare del valore esterno della nuova valuta con conseguente preventiva svalutazione. A mò di esempio viene preso il caso Grecia con il ritorno alla dracma.
Il primo dilemma da porsi è: rendere pubblica la decisione o operare in modo segreto? Come studioso di organizzazioni, sconsiglio sempre la segretezza, specie in un caso come questo, dove eventuali fughe di notizie comporterebbero fughe di capitali, ritiro di investimenti esteri, caduta dei prezzi, aumento dei rendimenti dei titoli. Poi, stampare nuove banconote e coniare monete richiede tempo, oltre al fatto che la segretezza è sempre foriera di frizioni politiche e sociali.
L’ideale resta un referendum popolare, a condizione che i politici che lo propongono dicano in modo chiaro le controindicazioni, i costi che il popolo dovrà sostenere, trascurando gli eventuali benefici. Ovvio che un processo solare presti il fianco alla speculazione, quindi occorre attrezzarsi per: a) controllare i capitali; b) conversioni obbligatorie delle valute straniere; c) chiudere le banche a cavallo del “D-Day”.
Lo studio indica sei mosse difensive atte a rendere soft il processo di uscita: avvertire per tempo, coordinarsi con i partner comunitari, rispettare i termini legali, rimanere nell’Unione anche cambiando la moneta, uscire rapidamente, gestire al meglio la comunicazione.
Poi informare i cittadini dell’ovvia svalutazione post conversione. Lo studio indica alcuni “numeri” conseguenti: a) percentuale di svalutazione della moneta per i paesi più deboli: 40% Grecia e Portogallo, 30% Italia e Spagna, dopo una fase iniziale ancora peggiore; b) percentuale di inflazione: 15% in Portogallo, 13% in Grecia, 10% in Italia, Spagna, Irlanda. E’ consigliabile non indicizzare i salari all’inflazione, ristrutturare i debiti pubblici e privati in default con l’aiuto (sarà peloso) di istituzioni internazionali, garantendo la rete di sostegno pubblico al sistema bancario, pronti a procedere a nazionalizzazioni temporanee delle banche stesse. Si deduce che una exit strategy richiede attributi non banali.
Signori dell’anti establishment se volete competere con l’establishment non dimenticate mai che la politica è 10% dottrina, 90% execution e su quest’ultima si gioca la partita. Pensate di averla? Il fatto che al potere ci sia un establishment inetto non è condizione sufficiente perché cada: si entra in guerra solo se si è sicuri di vincere, non certo perché sia giusto farlo. Prosit.