Caro Marcello, come sai noi due, pur vivendo entrambi in Svizzera, pur facendo lo stesso mestiere, non ci siamo mai conosciuti di persona, non ci siamo neppure mai parlati al telefono, l’unico legame è che io sono uno dei tuoi 24.700 follower, mentre tu uno dei miei 3.400; inserirmi nei soli 900 che segui, l’ho considerata un’opera di bene verso un vecchio signore che vive solitario negli interstizi della vita. Perciò ti ho scritto una lettera aperta.
Amo Twitter, perché è uno strumento fondamentale per studiare il ceo capitalism e i suoi imbarazzanti adepti. Di Twitter sono però, volutamente, un attore passivo, non entro in nessuna polemica, con 140 caratteri è tecnicamente impossibile non dire fesserie (infatti la rete è piena di fesserie, specie istituzionali e di alto lignaggio). Così i miei tweet sono da considerarsi degli sputi intellettuali, hanno taglio ironico e leggero e si tengono sempre ai margini delle feroci polemiche da cui Twitter è attraversato. Nelle rare volte in cui mi attaccano o taccio o me la squaglio, non sono “alfa” di nulla.
Quando fosti proposto dal Governo Conte alla presidenza della Rai, essendo io un vecchio conoscitore della classe dominante di oggi, e pure di quella di ieri e dell’altro ieri, capii subito che saresti stato sottoposto al classico waterboarding morale (consideralo una medaglia), però mai avresti occupato quella poltrona. Oltretutto una poltrona irrilevante in termini di potere, te lo posso assicurare per cognizione di causa, stante che, a cavallo degli anni 2000, fui per 5 anni consulente strategico della Rai (consolato Roberto Zaccaria–Pier LuigiCelli), quindi i protocolli scritti e orali che la governano, attraverso il triangolo Palazzo Chigi-Quirinale-Vaticano, mi sono noti. Mi dicono nulla sia cambiato, se non in peggio. Ci credo.
Mentre alcuni (pochi) si complimentavano con te per la designazione, sparai subito un tweet di dissociazione: “Non conosco Marcello Foa (lo giuro) ma lui è un mio follower, e scrivendo a un suo follower mi ha definito “giornalista indipendente”. Non lo sono, lo giuro, sono un servo mascherato delle élite, certo non ho reagito, anzi mi sono compiaciuto: chiedo scusa. Lo bannerei ma non so come fare. Aiutatemi!”
Nessuno mi ha aiutato (si saranno chiesti: è un infame o un giocherellone?), quindi non ti ho bannato. Completai la mia miserabile dissociazione, confermando con un tweet che mai avrei ritwittato certa Totolo (come hai fatto tu) perché mi sono sempre attenuto alla mia astuta regola di ritwittare solo ricette di cucina. Ultimamente, neppure più quelle, se prevedono il riso Venere: costoro sono talmente esaltati da bollarmi come razzista per un riso nero, al nero di seppia.
In un altro twitter scrissi un’ovvietà “Dov’è il problema? Le regole Rai sono quelle imposte da Matteo Renzi, le opposizioni votino contro, e Foa sarà trombato”. E trombatura fu.
Mi sono chiesto: perché questo fuoco alzo zero verso di te? Visto da lontano, mi pari uomo mite e perbene. Non certo per un infelice tweet su Sergio Mattarella (un nonnulla rispetto a quante lor signori ne hanno dette su Giovanni Leone e su Francesco Cossiga). Ti considerano sul serio un troll al servizio di Vladimir Putin? Ti confesso che non riesco ancora a distinguere i trolley dai troll, e pure Samsonite da Putin. Il 4 marzo abbiamo votato in 33.978.719, quanti di noi possono essere stati influenzati da hacker con profili falsi sul web? Faccio questa domanda a molti amici dell’establishment, delle élite, del giornalismo: nessuna risposta. Non chiedo prove che reggano in tribunale, mi basterebbe che mi spiegassero come avviene, tecnicamente, l’execution. Le nostre élite staranno mica scivolando, a loro insaputa, nel magico mondo delle seghe mentali e delle supercazzole?
Più le osservo da vicino, più le élite europee paiono morenti. Democrazia è alternanza, mentre loro non sanno più perdere, per mantenere le “cadreghe”, ottusamente si aggrappano a organismi sovranazionali (non eletti), sognano impeachment dei vincitori, Dico loro: siete al potere da un quarto di secolo, i risultati sono quelli lì (classe media impoverita, classe povera sedata), uscite dalla vostra bolla dell’arroganza. I miei nonni, i miei genitori ed io siamo sempre stati minoranza, eppure siamo stati felici. E’ stato bello vivere la vita come un divertissement continuo, osservando i vostri contorcimenti ideologici. Meglio poveracci che poveretti, credetemi. Prosit.