Sono certo che i lettori considerino i miei Camei intellettualmente onesti, esenti da ogm, da ormoni, da coloranti, conservanti, addensanti. Sanno che sono un liberale nature, un cattolico non adulto, un apòta. Ma sanno pure che non mi vergogno di far parte delle élite, una classe sociale giustamente disprezzata (10% della popolazione del mondo, 700 milioni di individui) che funge da “cuscinetto” fra l’1% di cui parla Thomas Pikkety, e il rimanente 90% degli abitanti del globo (6,3 miliardi). Sono entrato a far parte delle élite dopo i quarant’anni grazie alla meritocrazia insita in una legge fascista (la riforma Gentile sulla scuola) e nelle politiche della Fiat di Vittorio Valletta, cogliendo un ascensore sociale che mi ha portato all’attico. Per un certo tempo ho fatto anche parte dell’establishment (appunto l’1% di Piketty), rientrando poi nei ranghi delle élite. Questo Cameo pone alle élite una domanda: conviene puntare ancora su Matteo Renzi?
Diamo per avvenuta la scissione (sciantosa) nel Pd, trascuriamo per ora come i due nuovi partiti si ripartiranno il 30% del loro patrimonio elettorale: problemi loro. La mia analisi nasce da lontano, quando Renzi decise di liberarsi della spending review di Enrico Letta, coinvolgendo pure uno dei direttori top del Fondo monetario internazionale, Carlo Cottarelli, pronto a dedicare all’Italia tre anni della sua vita.
Intuii subito, e lo scrissi, che quella folle decisione era un segnale debole di enorme valore per capire una leadership. Siamo nella primavera del 2014, Renzi era quello del 40,8% alle europee, il mio giudizio su di lui (ci sono i Camei d’epoca a confermarlo) fu secco: non è un leader, ma un furb da pais, come diciamo noi torinesi. L’analisi a distanza si articolava su un certo profilo professionale e umano, lo stesso che un tempo ho usato per selezionare l’alto management: a) intelligenza vivacissima ma orizzontale (dei problemi capisce al volo gli aspetti più convenzionali, lì si ferma, disinteressato alla profondità); b) capacità di comunicazione da convention, il linguaggio della Leopolda divenne presto obsoleto; c) inadatto a farsi una squadra di alto profilo; d) una irrequietezza saltabeccante sui problemi, limitativa per la credibilità di una leadership. I suoi tre anni al potere sono stati una successioni di insuccessi, le sue leggi si sono sbriciolate, spesso prima di entrare in circolo. Non ha capito che fra obiettivi (slide) e risultati a consuntivo (numeri) c’è la vita vera, si chiama execution. Su essa si giudicano i leader.
Qual è stato per le élite il ritorno sull’investimento Renzi? Poca cosa. Per volere troppo (Senato, Province, Italicum) ora ci ritroviamo con una legge elettorale proporzionale pura, un leader odiato a sinistra, a destra, peggio non può allearsi con nessuno (neppure a Berlusconi ormai conviene più), lui stesso dice, con infinita arroganza, che non è un “politico da caminetto”, cioè si chiama fuori dal potere per i prossimi cinque anni. Quel che è peggio, e mi stupisco che nessuno lo scriva, la maggioranza dei cittadini lo rifiuta persino a livello psico-fisico.
Può piacerci o meno, ma è la realtà. In questa fase storica, dobbiamo riconoscere che per volere troppo abbiamo perso di più, costui ci ha messi in un cul de sac, ora abbiamo una sola strategia praticabile, quella eduardiana di Napoli milionaria : “Ha da passà à nuttata” (i colti direbbero “compriamo tempo”). Attenti, mentre si seguono le paturnie del Pd renziano, in questo anno pre elettorale la destra potrebbe trovare un candidato di sintesi (vedo per Berlusconi un ruolo sacerdotale), Grillo potrebbe risorgere dopo il disastro Raggi, la stessa sinistra potrebbe trovare un presentabile Benoît Hamon, sottraendo voti al Pd renziano, marginalizzandolo come partito delle élite.
Le élite sono tali se sanno cavalcare il futuro, se, quando non è possibile andare dritto, sanno procedere a zig zag, muoversi nell’ottica della contro intuizione, rinunciando alle ricette obsolete. Doti che l’attuale establishment non ha mostrato di avere, mentre si impone una decisione: a) scommettere ancora su Renzi; b) saltare un giro in attesa di trovare un nuovo leader; c) investire su un nuovo cavallo, dandosi un respiro quinquennale.
Riflettete gente, riflettete.
Riccardo Ruggeri