Impossibile ormai prevedere il vincitore delle elezioni, mentre è possibile sapere in anticipo chi sarà lo sconfitto. Banale constatazione la mia. La fedeltà dell’elettorato si riduce a ogni elezione, quelli legati a un’ideologia vanno a esaurimento, gli apparati partitici sono sempre meno credibili per imporre il voto ai tesserati. L’imprevisto diventa prevedibile. La prova? E’ sufficiente che i lettori leggano vecchi articoli di noi analisti, cosa abbiamo scritto su Matteo Renzi, su Silvio Berlusconi, su Beppe Grillo, appena uno o due anni fa e, alla luce di quello effettivamente successo, o si scompisceranno dal riso o scopriranno valutazioni surreali. La stessa Ocse si è interrogata sulle discrepanze fra misurazioni economiche previste ed effettive. Mitica la domanda posta dalla Regina Elisabetta nel novembre 2008, in un incontro con i maggiori economisti mondiali: “Perché nessuno di voi ha previsto questa crisi economica finanziaria globale?” In quel momento Elisabetta ragionava da donna del popolo, anche se la risposta la conosceva già: l’economia non è una scienza, ma un’attività come tante altre, gli economisti sono come i cosiddetti esperti del clima, come gli allenatori di calcio, trattano una materia della quale conoscono bene i contorni, padroneggiano quattro formulette, quattro locuzioni in inglese, ma nulla più: nel calcio la palla è rotonda, le sue traiettorie imprevedibili, le sue variabili infinite. Però gli Arrigo Sacchi e i Mario Draghi si rifiutano di riconoscersi nel mago Otelma, e li capisco, perché vale anche per noi giornalisti, duro ammetterlo ma è così: spesso le nostre analisi sono seghe mentali, inquinate dall’ideologia.
Un punto fermo però per noi elettori comuni c’è: chiunque sia al potere è, quasi certamente, un inetto, chiunque sia all’opposizione è giusto che abbia una chance, specie se è giudicato da lor signori “brutto, sporco, cattivo”. Prendiamo lo sconosciuto Emmanuel Macron, dichiarandosi né di destra né di sinistra ha preso i voti dei gollisti, soprattutto dei socialisti, li ha massacrati entrambi. Per cinque anni, lasciamolo giocare, fra qualche anno, è possibile che proprio i suoi elettori oggi più eccitati gli tireranno le pietre. Così Theresa May, dopo Brexit è stata rapida nell’inversione a “U” rispetto a David Cameron, cercando così di far dimenticare chi era: non c’è riuscita. Astuto Jeremy Corbyn, brutto sporco cattivo, lo è dalla nascita e tale è rimasto, mentre i tutti i “sinistri colti” lo coprivano di improperi e di disprezzo, perché lontano anni luce dal loro cocco Blair. Eppure, in Uk avrebbe vinto Corby se per l’Ukip si fosse presentato Nigel Farage. Apro una parentesi. Farage è l’unico politico europeo che ha capito come funziona la democrazia nell’epoca degli algoritmi social: quando vinci un referendum ritirati, se perdi deve scomparire. La Brexit c’è stata grazie a lui, l’unico che aveva capito che nelle viscere più nascoste del popolo inglese mai avrebbero potuto accettare di essere servi dell’odiata Germania e degli euro burocrati alla Juncker. Chiusa parentesi.
Incomprensibile, in quest’ottica, Renzi che ha perso l’attimo fuggente la notte del 4 dicembre: sconfitto, doveva scomparire, sperando che un giorno l’avrebbero richiamato. I politici sono ormai beni di largo consumo, noi elettori alla ”scadenza” li restituiamo al partito. Per non parlare di Berlusconi che più invecchia più sembra Gianni Letta. Segnato il destino di Matteo Salvini, se vuole sopravvivere come leader di partito (mi pare imbolsito) deve candidare alla premiership del centro destra un volto semisconosciuto. Fra i pentastellati curiosa la traiettoria di Luigi Di Maio, ogni giorno che passa rassomiglia, nel linguaggio e negli atteggiamenti, al vecchio. Politicamente finite le due sindachesse di Roma e di Torino per chiara inettitudine e un po’ di sfiga (seguire l’amata Juve a Cardiff, anziché fra il popolo di piazza San Carlo l’ha politicamente ridicolizzata).
Siamo in una terra di mezzo, ogni popolo troverà la sua modalità per abbattere queste leadership ormai fruste. Non dobbiamo aver fretta, non si cancellano con qualche elezione trent’anni di distruzione del tessuto socio economico dell’Occidente.