Il razzismo è un’anguilla, non sai come prenderlo

Il razzismo è un’anguilla, non sai come afferrarlo, se gli dai il significato ampio che gli spetta, siamo tutti razzisti, e passeranno secoli prima di qualche significativo cambiamento. Nel linguaggio colto ormai tutti diciamo, in automatico, nero e non negro, negli stadi sono in diminuzione i buuuu, ma sono eleganze verbali di una certa classe, la strada verso una vera integrazione è tutt’altra cosa.
Il palazzo signorile al civico 9 di piazza Vittorio a Torino dove sono nato, era impregnato di razzismo dagli infernot alle mansarde. Quelli del secondo piano (nobiltà sabauda), del terzo piano (alta borghesia ebrea), del piano ammezzato (piccole professioni autonome), tutti avevano comportamenti biecamente razzisti fra loro e tutti nei confronti della mia famiglia, per il solo fatto che eravamo portinai, poveri, antifascisti, vivevamo in 5 in 15 mq. (razzismo di classe). Quando nel ’53 divenni operaio alla Fiat Mirafiori mi adeguai all’andazzo razzista della quasi totalità dei miei colleghi dell’officina 5 (di fede granata) che costringeva i quattro gatti di juventini nel locale mensa a mangiare in un tavolo separato (razzismo calcistico). Quando negli anni ‘70 decisi di assumere un altissimo manager della Motorola, questi accettò un compenso inferiore pur di lasciare gli Stati Uniti: pur avendo tutte le skill giuste mai sarebbe diventato CEO: non era un Wasp (bianco, anglosassone, protestante), razzismo di religione. Partendo dalle mie attività lavorative in UK e negli Stati Uniti potrei raccontare per ore e ore perle razziste sui luoghi di lavoro, Board compresi. Avendo frequentato a lungo l’Africa, lì colsi il top del razzismo mondiale, quello neri versus neri, il peggiore. Una chicca, in un volo Mogadiscio-Francoforte, un somalo, immaginai di alto lignaggio, con biglietto di turistica, obbligò il comandante della Somali Airlines (tedesco), a far alzare dal suo posto in 1° classe, accanto a me, un altro somalo, di certo di classe inferiore, obbligandolo addirittura a scendere. Costui si adeguò all’ordine del comandante con un tali ossequio e rapidità che, immaginai, ciò fosse per lui normalità.

Avendo lavorato e vissuto negli Stati Uniti, e frequentandolo ancora, mi pare che si siano spesi 50 anni per darsi una patina antirazzista formale (New Yorker style), ma la questione razziale (40 milioni di neri e 280 di bianchi con sfumature varie) non solo non è risolta ma, e lo dicono le élite nere, neppure è stata affrontata per davvero. Per certi aspetti la Presidenza Obama (un “Nero alla Casa Bianca” ricordate l’esultanza?) ha mostrato che bianchi e afro sono più divisi di otto anni fa: questo è stato il suo fallimento, e non poteva essere diversamente. Ormai il potere vero non è più allocato a Washington, ma a Wall Street e a Silicon Valley, e costoro hanno altre priorità.
La vittoria del ceo capitalism sul capitalismo classico, e la ormai chiara percezione del fallimento della globalizzazione, il passaggio da tre classi sociali (ricchi-medi-poveri) a due sole (ricchissimi e poveri), la mancanza (strutturale) di lavoro, e l’impoverimento di quello rimasto, altro non fa che dividere sempre più il Paese. Saranno pure analisi superficiali, ma è difficile ribattere a coloro che vedono un ritorno ai confini ideologici della guerra di secessione, giubbe blu e giubbe grigie, unionisti e confederali. Se ci metti una crisi economica che, appena togli la droga dei debiti, potrebbe farsi devastante, ti accorgi che il caso Dallas (per la prima volta c’è stato un attacco alla Polizia, fatto inaudito per l’americano medio) deve essere maneggiato con estrema cura: guai ridurlo all’atto di un pazzo.
Se si dovesse tornare al ’68, con la mitica maggioranza silenziosa di allora (quella che elesse Nixon), oggi non più configurata come sostanzialmente bianca, ma aggredita dallo stesso morbo della Brexit, dove “povertà” e “immigrazione” sono i due corni del problema, sul quale implacabile aleggia come nuvola nera il terrorismo islamico (altro che il cloud computing californiano), è difficile prevedere cosa potrebbe succedere. Gli americani, più o meno bianchi dell’America bianca, delle varie “cinture” (dalla Bibbia, alla ruggine, e così via) ed escludendo le grandi città delle due Coste, odiate dagli “interni” come cuscute depravate, potrebbero rindossare giacche blu o grigie.
The Hillary e The Donald sono i peggiori candidati per tempi di transizione come questi, sono due individui politicamente disonesti e divisivi, in un contesto economico divisivo per definizione. Dopo un democratico nero per fare pendant ci vorrebbe un Reagan 2.0.

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