Avendo letto molto, ma non sapendo nulla, mi sono fatto una mia idea sul dossier, pubblicato da Verità, di monsignor Carlo Viganò, con richiesta di dimissioni di Papa Francesco.
Sono un cattolico non adulto. Mia mamma, anarchica di rito carrarino e atea, volle che facessi le elementari dai Fratelli delle scuole cristiane e frequentassi l’oratorio. Mi trovai bene. Crescendo non fui mai attratto dall’ateismo, lo considerai sempre un atteggiamento snob, che iniziava e finiva nel fazzoletto da taschino Hermes. La Loyola University mi diede la laurea H.C. in Laws in una, per me e per la mia famiglia, mitica cerimonia, con messa solenne nella Cattedrale cattolica di Chicago (fui uno dei sei non americani in 130 anni a riceverla). Tenni conferenze riservate sul business e sul management in Vaticano. Tutto qua il mio rapporto con la Chiesa terrena. Quello con Dio invece è sempre stato improntato a una reciproca timidezza e fiducia.
Come studioso di modelli macro organizzativi aziendali quello della Chiesa cattolica l’ho sempre considerato il più affascinante, perché il più sofisticato, infatti dura da oltre duemila anni. Passatemi il linguaggio tecnico e la semplificazione, con questo modello, fra Dio e noi fedeli ci sono appena tre livelli gerarchici: il Papa, il Vescovo, il Sacerdote (Cardinale è un titolo, non un ruolo) e, a latere, un Ente di Staff centrale (Curia romana). Eppure riesce a far funzionare la più antica multinazionale di ogni tempo. Non esiste nulla di simile in nessuna altra organizzazione umana.
Secondo me non esiste nessun complotto contro Papa Bergoglio, si tratta semplicemente di una carenza prima di Papa Ratzinger, poi di una scelta errata di modello organizzativo di Papa Bergoglio. Ripeto, parlo esclusivamente di modello organizzativo e di gestione dei processi operativi, quelli che Charles De Gaulle chiamava “intendenza”, alcuni oggi “gestione della macchina”. Gli ultimi anni di Papa Wojtyla furono umanamente difficili, il potere reale passò in toto alla Curia, il modello organizzativo si slabbrò. L’arrivo di Papa Ratzinger, raffinato teologo e uomo mite e mistico, non cambiò la situazione, non avvenne alcun rammendo, anzi, per certi versi la peggiorò, al punto che lui accortosi di non farcela (in termini organizzativi) diede le dimissioni.
Mettiamoci nei panni dei Vescovi lontani da Roma, membri del Collegio cardinalizio o no (come ad esempio il cardinal Bergoglio) che ormai da un decennio subivano lo strapotere, a volte arrogante e ottuso delle Staff, con una intermediazione degli Enti di Curia sempre più inaccettabile. Al momento della nomina, Papa Bergoglio sottolineò il suo venire da lontano, intendendo che sarebbe stato un Papa innovativo. In realtà, fece un errore organizzativo che si rivelerà drammatico. Anziché resettare tutti i componenti di primo e anche di secondo livello della Curia, sostituendoli con giovani monsignori (come facciamo noi Ceo nelle aziende tecnicamente fallite, e come non fanno i politici con i Direttori Generali, suicidandosi), creò, se mi passa l’avverbio, gesuiticamente, delle strutture di Staff parallele. Fece uso di “Comitati” (in termini organizzativi una sciagura, così come tutti i ruoli di “coordinamento”), inserì porporati a lui fedeli non necessariamente competenti. Anziché abbattere le Staff di Curia ne creò una alternativa.
Non era lui che doveva lasciare gli appartamenti pontifici trasferendosi nel residence di Santa Marta, ma erano i vertici delle Staff vaticane che dovevano lasciare Roma. Certo lui scelse Santa Marta come modalità comunicazionale per invitare le Staff a fare un passo indietro. Capii lì che lui non conosceva i processi mentali e comportamentali delle Staff (uno degli studi più affascinanti in proposito è quello degli eunuchi della dinastia Tang e anche di un mio mito cultural-organizzativo, Michele Psello, ai tempi degli Imperatori di Bisanzio).
A sua insaputa, Papa Bergoglio aveva creato quello che noi del mestiere chiamiamo “caos organizzativo” nel quale, purtroppo, sopravvivono i più professionalmente spregiudicati. Questo dossier, per me, è un frutto avvelenato del caos organizzativo, null’altro.
Nessuna pretesa che questa sia la verità, il mio è un contributo tecnico di un cattolico non adulto. Se l’analisi fosse corretta, si imporrebbe però una serena, radicale epurazione in nome del mitico “promoveatur ut amoveatur”. Questa volta fatto alla luce del sole, come facciamo noi Ceo perbene.