IL CAMEO
IL MES E I NIPOTINI DI JEAN MONNET

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Ogni tanto i lettori di Zafferano.news e delle varie testate che pubblicano i miei scritti mi spingono a focalizzare il Cameo su determinati argomenti di attualità. Di norma io faccio lo gnorri. Curiosamente nel caso del MES la pressione è stata molto più forte del solito, allora tentai di cavarmela con un tweet ironico “Non essendo tecnicamente preparato non ho letto nulla del MES, quindi non so nulla, ergo non mi sono schierato…”. Però non bastò: altre mail con allegate ricche documentazioni specifiche volevano spiegarmi che il MES è di facile comprensione.

Allora altro tweet, sempre ironico “Dopo giorni di letture di giornali, di talk show, ho finalmente capito il MES: a Torino lo chiamiamo pachét. E’ un atto notarile, scritto, approvato, firmato dal Notaio stesso quindi operativo. Per pura cortesia costui permette al Parlamento di leggerlo e parlarne, però è inemendabile”. Pensavo di essermela cavata. Niente, i lettori non si accontentarono. Oltretutto, le recenti sguaiate risse in Parlamento in un certo senso giustificano le loro richieste. A questo punto, scrivo il Cameo, come richiesto, ma non cedo: il mio giudizio sul MES me lo tengo (onestamente penso non sia professionale ma intuitivo).

Il mio maestro Hunter Thompson suggerisce in questi casi di fare un inciso con schizzi del tuo passato: i lettori lo apprezzano. Torniamo allora al dicembre 1947, mio padre ha appena 41 anni ma sta morendo. E’ un mese ormai che quando torno a casa da scuola vuole che gli legga i resoconti che fa La Stampa sulla stesura finale della Carta Costituzionale. Non era d’accordo, lui operaio, sull’art. 1: voleva la “libertà” in luogo del “lavoro”. Un paio di giorni prima a mamma e a me (13 anni) ci parlò per l’ultima volta, ovviamente di politica (la parola fascismo la imparai subito dopo le prime quattro o cinque basiche) dicendo di non fidarci di quelli appena andati al potere. Tra i suoi libri (pieni di note scritte a mano), c’erano tutti quelli di Giuseppe Prezzolini. Diventare apòta fu per me un’ovvietà e tale sono rimasto tutta la vita, non fidandomi di fascisti, di comunisti, di azionisti, anche nei loro diversi travestimenti pseudo liberali o riformisti, secondo me fatti solo per gabbare i cittadini.

Capii cosa intendeva mio papà quando equiparava, in termini di minaccia per la democrazia, il Partito d’Azione al fascismo e al comunismo, solo molti anni dopo, quando si avviò il processo di integrazione europea. Mi colpirono due frasi di uno dei padri fondatori, Jean Monnet. Per la prima volta un pensatore non parlava di teorie e sogni ma di execution, il mio mondo. Queste le frasi che rimarranno scolpite nella mia mente, da associare all’Europa e alla politica in genere:

1 Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e finalità meramente economica

2 I popoli accettano i cambiamenti solo in stato di necessità, e riconoscono la necessità solo in presenza di una crisi.

Molti anni dopo, quando il Ceo capitalism cominciò a prendere forma capii l’oscena profondità di quelle due frasi (il fascismo da nero si stingeva nel rosa pallido), coerenti con il curriculum di Monnet. Era un produttore di Cognac, un tecnocrate, francese di nascita e di cultura, anglosassone di mentalità e di frequentazioni. Oggi il suo profilo è riconducibile a quello di un CEO versione deal maker. Credo che dobbiamo riconoscere a Jean Monnet pure la primogenitura filosofica del Ceo capitalism. Infatti, le due frasi suddette sono i plinti sul quale lo stesso si poggia.

Ogni lettore che mi ha scritto ha ora tutti gli elementi per decidere liberamente che fare. Per favore, lasciatemi fuori, quel mondo non mi piace.

Zafferano.news

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