Le ore della notte eccitano Donald Trump a sparare tweet, sono come una droga, però anziché venire assunta viene espulsa nell’etere. L’altra notte ha sparato alcuni tweet con accuse verso Barack Obama. Ho avuto la sensazione che ci fosse anche un altro bersaglio, le Agenzie di intelligence, Fbi in testa, con l’accusa di averlo “spiato”, addirittura di averlo intercettato sul suo telefono privato nella Trump Tower. Non sapendo che fare, mi sono rivolto all’amico Angelo Codevilla che visse, ai tempi del presidente Reagan, in quel mondo. L’esperienza nelle grandi organizzazioni umane mi ha insegnato che “primum vivere” è la loro regola di sopravvivenza, viene ben prima della loro attività istituzionale.
Volevo capire se ciò possa essere, prima ancora vero o falso, tecnicamente possibile. Su queste vicende, leggere i grandi giornali americani è tempo perso, ormai il New York Times è l’house organ dei dem (setta liberal), il Washington Post è una protesi di Jeff Bezos, la Cnn mi ricorda il TG 4 di Emilio Fede, niente da fare. Scrive Angelo Codevilla:
“Nel 1978 feci parte della commissione che scrisse il Foreign Intelligence Surveillance Act, e poi fui l’animatore dell’opposizione al suo passaggio (quasi riuscito). La legge era voluta da Fbi e Nsa come protezione profilattica al loro lavoro d’intercettazioni per intelligence. Cioè non volevano più essere responsabili per la qualità dei loro giudizi, delle loro decisioni. Introducendo la pre approvazione giudiziaria, loro potevano poi fare quel che volevano. La sinistra dem approvava, credendo che questa corte (che operava nel segreto) avrebbe regolato il comportamento delle Agenzie. Invece, io ero sicuro che: a) i giudici, non sapendo niente della sostanza delle richieste, le avrebbero approvate tutte (e così fu); b) era chiarissimo che le intercettazioni più interessanti per l’ intelligence sarebbero state quelle che coinvolgevano cittadini Usa, innocenti o meno. Cosa farne dei risultati? La legge prevede certi protocolli, ma protocolli o no, quelli in possesso di tali informazioni ne fanno quel che vogliono. Nei decenni seguenti la sinistra dem si arrogò la parte del leone delle Agenzie, e Obama, alla fine del suo mandato, cambiando alcune regole interne, ha reso disponibili informazioni in precedenza soggette a certi protocolli.
Appena i risultati delle elezioni del 2016 furono noti, secondo il Nyt, le agenzie d’intelligence rastrellarono tutte le intercettazioni concernenti la Russia e i russi che, per qualsiasi nexus o sfumatura di nexus potessero essere collegati con Trump o con i trumpiani. Non si sa che cosa trovarono o non trovarono. Ragioniamo in termini tecnici: se si tratta di intercettazioni originali della Russia queste sono illeggibili, come succede da oltre mezzo secolo. Potrebbero essere comunicazioni politicamente innocenti (per esempio, relative ad affari economici), ovvero potrebbero essere state trasmesse non cifrate, e allora possono essere state legalmente intercettate, specie se una delle parti fosse straniera. Il fatto è che in questa vicenda non c’è nulla di sicuro. Sappiamo solo che si fa riferimento a fonti anonime dell’intelligence in contatto con la stampa americana.
Infatti, il Nyt del 19 gennaio usa un linguaggio assolutamente agnostico sui contenuti. In conclusione, di certo c’è solo che la favoletta “Trump e i russi che avrebbero collaborato per truccare le elezioni del 2016” si è trasformata in un carro armato politico che cerca di travolgere Trump. Attenzione, sono i dem che attaccano, Trump si difende, chiedendo al Congresso di mettere tutte le carte sul tavolo.”
Grazie, caro Angelo, ho capito, siamo in presenza della forma più alta di fake news, quella istituzionale. Accoppiata alla tecnica, vecchia come il mondo, di gridare “al lupo, al lupo”, qua però nell’interpretazione di Vladimir Nabokov: “La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al lupo, al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui”. Un intervento del Congresso si impone.
Riccardo Ruggeri