La regola aurea della democrazia americana, «il vincitore è figlio di quelli che vanno a votare», ha colpito ancora. «Quelli» sono il mix (classi sociali, etnie, portatori di interessi), che rappresentano la segmentazione dell’elettorato: ogni volta cambia. L’establishment dem-rep aveva avuto l’idea di affidarne il franchising alla Fondazione Clinton, perché trovasse il mix giusto. Pensava di averla trovata: establishment dem-rep, finanza, banche, Silicon Valley, media, intellettuali, manager, funzionari pubblici, neri e ispanici quanto basta, un goccio di angostura, e tanto ghiaccio.
Il «buzzurro» Donald Trump, con la tipica scaltrezza del costruttore edile (un business ove il rapporto imprenditore-lavoratori non ha mediazioni), aveva invece annusato che il livello di odio del popolo verso le élite era arrivato a un punto tale da poter deflagrare da un momento all’altro. Così è stato.
Ho passato la notte con Enrico Mentana, per seguire passo dopo passo la grande sceneggiata, certo che sarebbe finita con una vittoria della Fondazione Clinton, l’avevo anche scritto sulla Verità, anche se era chiaro che il momento della verità si stava avvicinando, la storia stava giocando contro gli attuali establishment, e loro lo sapevano. Per la prima volta una Fondazione sarebbe diventata presidente degli Stati Uniti, così si sarebbero comprati quattro anni di vita. «Comprare tempo» è diventata l’unica strategia delle Classi Dominanti, in America e in Europa. Su questo si doveva lavorare.
In un’intervista all’amico Marco Valerio Lo Prete (Il Foglio), persino Neill Ferguson, grande storico del capitalismo (quello vero, non quello miserabile di oggi), sottolineava alcune profonde implicazioni politico-culturali, utilizzando una curiosa filastrocca sociologica: «Se oggi in America votassero i soli bianchi, Trump vincerebbe. Se votassero solo i bianchi di sesso maschile, Trump stravincerebbe. Se votassero solo i bianchi di sesso maschile senza laurea, Trump conquisterebbe tutti i 50 Stati». Analisi affascinante, al contempo vera e falsa, come tutte le nostre analisi sull’America.
Come le élite europee analizzarono Brexit? «Hanno votato No gli ignoranti, bianchi e pure poveri». Ora che ha vinto Trump scriveranno. «È stato eletto da bianchi ignoranti, sdentati, fumatori incalliti, consumatori di cibi spazzatura e di reality show»? Facciano pure, ma quando dai al popolo la possibilità di premere i tasti Ctrl-Alt-Canc, questo lo fa, serenamente.
I sacerdoti che governano l’attuale modello politico economico, pur di mantenere status, bonus, patrimoni, hanno puntato sull’usato sicuro, sulla Fondazione Clinton. Scelta presa dopo molte analisi e molte simulazioni. Stante le nuove tecnologie, conosciamo addirittura, grazie ai diavoli digitali di Wikileaks, unico contrappeso ai feudatari digitali di Wall Street e di Silicon Valley, il discorso segretissimo fatto da The Hillary per chiedere l’appoggio (e i quattrini) ai finanziatori: «Sono lontana dalla gente, il mio compito è aiutare le banche a crescere».
L’establishment demo-rep sapeva perfettamente che dopo queste elezioni la faglia politico-sociale del Paese si sarebbe allargata ancora di più, quelli al di là della faglia non avrebbe riconosciuto la sua vittoria. La maggioranza silenziosa ha sciolto il nodo in modo brutale: ha detto «basta, ripuliamo la palude». Così l’America si è liberata in un colpo solo di tre orrende famiglie politiche, i Clinton, i Bush, gli Obama.
Trump è stato l’ostetrica di questo nuovo corso, come la Brexit e tutte le elezioni che si succederanno lo saranno per l’Europa. Un punto è chiaro: l’attuale modello politico-economico, abbandonato l’ascensore sociale, ridotto il lavoro a commodity, promosso a modello lavorativo la gig economy, trasformati i cittadini in miserevoli consumatori, dovrà essere profondamente modificato. Persino papa Francesco aveva scelto di stare al di là della faglia: «Vergogna, salvate le banche e non le persone», otto parole terribili, d’altro canto noi uomini di mondo conosciamo la genialità della Chiesa cattolica nell’advertising e nell’immaginare il futuro.
«Un altro ballo e la mia reputazione è rovinata», diceva preoccupata Rossella O’Hara in Via col vento. E allora balliamo, sereni.
Riccardo Ruggeri