Difendiamoci dalle parole di plastica

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Nel numero 20 di Zafferano.news (settimanale online ove l’abbonamento è gratuito) è presente un articolo di Tommy Cappellini dal titolo «Parole di plastica senza futuro». Consiglio non solo di leggerlo, ma di soffermarcisi a lungo, vi stimolerà riflessioni profonde. Avendo avuto, come editore, il privilegio medioevale dello ius primae noctis, avendo cioè potuto leggerlo in anteprima, subito ci ho scritto, d’impeto, un Cameo per le emozioni che mi ha trasferito.

Sarà perché sono stato, e sono, molto innamorato di Ivan Illich, ben citato nell’articolo, e perché ho apprezzato Uwe Pörken (inventore della definizione «parole di plastica»), che ho trovato il pezzo di Cappellini tipicamente zafferaniano. Le parole di plastica sono termini che posseggono una connotazione forte, tale da assegnare importanza a chi li usa. Dice Illich che «sono massi lanciati in una conversazione: producono delle onde ma non colpiscono niente» e spiega che «sono parole quasi sempre esistite nella lingua, ma che, attraverso un candeggio, vengono riportate nel linguaggio corrente, con però una nuova connotazione. Questa ti rimanda a cose che altre persone conoscono, ma tu non puoi capire fino in fondo».
In tivù, specie su La 7 e sulla Rai, su Twitter nei dibattiti fra economisti, nei discorsi d’antan di Mario Monti e di Matteo Renzi, nella prosa di Roberto Saviano e dei due Sindaci borbonici, troviamo un florilegio di parole di plastica. Come ovvio, non cito Papa Francesco perché le parole del Vangelo per noi cattolici (nulla so di ciò che pensano e fanno i laici) non hanno a che fare con la plastica, essendo scolpite nella pietra. Qualcuno non l’ha ancora capito.

Cosa bisognerà fare per liberarci delle parole di plastica prima che ci sommergano? Noi di Zafferano siamo nati anche per scoprire fake truth e per opporci ad esse: dobbiamo, in questo caso, essere cani da tartufo pure di questi imbarazzi linguistici? Chiediamoci: le parole di plastica deriveranno mica da pensieri di plastica? E insieme, creeranno mica comportamenti organizzativi di plastica? Secondo Illich la parola di plastica del secolo scorso è stata «vita». E se ora fosse «plastica»? Gli scienziati della chimica verde hanno come obiettivo «sciogliere la plastica»: cioè sciogliere i paradigmi della chimica classica. Si fermeranno lì?

La domanda la girerei volentieri a un Ivan Illich redivivo, proprio a lui che, con genio, ha tratteggiato la cultura del Ceo capitalism e il suo collasso, prima ancora che il modello si palesasse.

A chiusura del suo pezzo, Tommy Cappellini segnala altre tre parole di plastica, tutte di giornata: «fascismo, antisemita, migranti». Personalmente, da anni mi soffermo sul termine «migranti», anche se, fino a qualche tempo fa, poco o nulla vi ho scritto sopra. Non posso accettare la parola «naufrago» riferita a persone che hanno scelto di pagare una cifra, per loro mostruosa, a una serie di organizzazioni criminali per un viaggio tutto basato sull’illegalità, assumendo coscientemente, nell’ultima tratta, quella marittima, il rischio di perdere la vita e proprio per questo pagare un supplemento, sapendo che a poche miglia dalla costa saranno abbandonati senza acqua e senza carburante.
Chiedo ai miei amici che riflettono sul mondo del digitale: anche lì ci sono parole di plastica? E ancora, ci saranno algoritmi di plastica, start up di plastica? Soprattutto costoro continueranno a pagare tasse di plastica? Come possiamo proteggere i nostri giovani da questo Pacific Trash Vortex che sta diventando sempre più vasto e profondo, rendendoci zombie acculturati?
zafferano.news

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