Che l’attuale modello politico-economico occidentale sia malato (terminale?) non ci sono dubbi. Vogliamo prenderla alla lontana? Platone due millenni fa: “Un tiranno è il figlio di un democratico …”. Alexis de Tocqueville due secoli fa: “… è il capolinea della democrazia liberale”. Oggi il teologo americano David Schindler sostiene come i principi fondativi della democrazia liberale americana siano stati traditi dal crescente “assorbimento della politica agli interessi economici” (bravo Mattia Ferraresi ad applicarlo al duo The Hillary-The Trump: il secondo lo incarna in modo volgare, la prima in modo sistemico, quindi è molto più pericolosa).
Da anni studio come difendermi dalle élite attuali, in particolare su un aspetto, la strategia di costoro per degradare i lavoratori in ottusi consumatori. Mi rifiuto di essere trattato (e morire) da miserabile consumatore, anche da vecchio sono un lavoratore, il lavoro mi dà dignità, solo così mi sento, e sono un cittadino. Allo scoccare della Grande Crisi del 2008 ebbi un’intuizione, era banale ma solitaria, ne scrissi più volte su Italia Oggi, su Milano Finanza, in alcuni miei libri: il proletariato sta accettando il modello che le élite subdolamente gli propinano, non più lavoratori ma consumatori. Consumare come lavoro, come gli eroinomani, che lavorano al solo scopo di procurarsi quattrini per drogarsi. E’ la“gig economy”, l’economia dei lavoretti. Non c’è bisogno di essere Karl Marx (e neppure Groucho) per capirlo. La “gig” degrada il lavoro in lavoretto, scarica i rischi imprenditoriali sullo Stato e sui cittadini, infatti questa tipologia di entità mafiose (mi rifiuto di chiamarle aziende) scambiano una “app” idiota con il 20% non dei profitti (e già sarebbe criminale) ma del fatturato, uccidendo qualsiasi conto economico di qualsiasi business (salvo droga e prostituzione), a meno di modificarne la struttura. Infatti, per pagare la tangente iniziale il lavoratore-imprenditore deve eludere le tasse, assumersi lui i rischi imprenditoriali e legali, non ha i diritti sociali minimi, neppure la pensione, è un paria confinato in un doppio precariato, da imprenditore e da lavoratore. E’ sufficiente essere un sociologo dilettante come me per capire come con ciò si stiano riconfigurando i contorni della povertà. E quale è la risposta del Governo? Dare bonus ai più poveri, prossimamente il salario di cittadinanza, accettando, nei fatti, il modello proposto dalle losche felpe californiane. Quello che chiamo ceo capitalism, consiste proprio in questo, impoverire i lavoratori, per poi aiutarli, a esserlo un po’ meno. Mi ricordano le Dame di San Vincenzo.
Certo, l’impoverimento è dolce, il potere d’acquisto all’apparenza ancora accettabile, perché i prezzi restano fermi, pochi s’accorgono del trucco, le aziende per sopravvivere devono abbassare la qualità, le cose costano uguale ma valgono e durano meno. Anche lo Stato si impoverisce, perché il ceo-capitalism aborre le tasse, per se e per i suoi adepti (i driver di Uber, i locatori di Airbnb, e così via). E’ un mondo tarato non per produrre innovazione di prodotto, ma solo di processo (“app”). Prima hanno sostituito gli ideali con il marketing (così la politica si è degradata a comunicazione, a slide), ora stanno impostandone la versione postmoderna, il societing. Traduco: il marketing usa strumenti sofisticati per indurre all’acquisto, il societing rovescia il nesso causale, si focalizza sul consumatore che con il suo gesto d’acquisto manda segnali (spesso a sua insaputa) al produttore. Questo è lo stato dell’arte, drammatico. Prima che tutto diventi magma, cioè consumo indifferenziato, come opporsi a questo modello, chiaramente criminale verso i cittadini e i lavoratori? Al solito, solo il mercato, quello vero, può salvarci, ma tocca a noi far valere il nostro potere contrattuale. Come cittadini con il nostro voto: votare comunque e sempre contro costoro. Come lavoratori, difendendo con ogni mezzo il nostro ruolo, con o senza i Sindacati. Come consumatori, diventando aggressivi e rivoluzionari. Se non bastasse neppure questo, resta solo l’imbracciare i forconi, sia chiaro in posizione di riposo, come nell’immortale quadro American Gothic di Grant Wood.