Sei coppie torinesi cercano, a cena, un futuro governo

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Cena torinese, dicembrina, di sei coppie, in comune l’amicizia con i padroni di casa ed età compatibili: noi nati negli anni Trenta, gli altri nei Quaranta e nei Cinquanta, tutti con figli ormai adulti, ben inseriti nella società, tutti preoccupati del futuro dei nipoti. Quale la preoccupazione, taciuta persino a noi stessi? Siamo una generazione nata o nella classe povera o della piccola borghesia ma tutti avremo la soddisfazione-certezza di morire benestanti. Sappiamo di dover tutto quello che possediamo all’ascensore sociale che il modello politico-economico di allora ci aveva garantito, riconoscendo i contributi di intelligenza e di impegno da noi profusi.

Ci chiediamo: quale traiettoria sociale avranno i nostri nipoti, loro nati benestanti, in un mondo che sta sociologicamente polarizzandosi in modo così sciagurato? Proprio il giorno della cena, il Rapporto Censis parla implicitamente anche di noi commensali, e ci ammonisce “C’è una polarizzazione dell’occupazione che penalizza il ceto medio”. Ho tradotto questa sentenza sociologica in italiano corrente: “Quattro gatti avranno compensi principeschi, tutti gli altri saranno zombie con reddito grillino di cittadinanza”.

Che piaccia o non piaccia, il combinato disposto (come dicono i colti) di “Globalizzazione selvaggia”, “Immigrazione non governata”, “Focalizzazione sul consumatore e non sul lavoratore”, paiono non più compatibili con la democrazia liberale. E’ il limite micidiale di quello che chiamo “Ceo capitalism” con il quale ci piaccia o meno, dobbiamo convivere, e i nostri nipoti difficilmente potranno affrancarsi dal suo subdolo dominio. Ci siamo dati troppi obiettivi, in tempi troppo stretti, siamo arroganti, pieni di pretese, incapaci di fare delle scelte, di definire priorità credibili, siamo in crisi esistenziale, e ci ritroviamo percorsi da astio, livore, rancore.

Ci stiamo spaccando: a) culturalmente: il sistema scolastico, l’informazione, quelli che non la pensano come noi sono propagatori di fake news o populisti e non semplicemente portatori di un rispettabile pensiero alternativo; b) territorialmente: guerra fra la città e il resto, fra il quadrilatero del lusso e le periferie, e così via. Stiamo diventando tutti più cattivi, siamo così ideologizzati sui comportamenti altrui, da non accorgerci che non possiamo permettercelo.

Come succede in ogni cena perfetta (Chapeau ai padroni di casa!), rilassati dal sublime cibo e vini piemontesi propostici, dalla reciproca simpatia ed empatia, l’ultima ora l’abbiamo dedicata, chiacchierando piacevolmente, a “risolvere” i maggiori problemi del mondo, come si fa in questi casi. Stante l’incombente appuntamento elettorale, abbiamo preferito affrontare quelli dell’Italia. Tornando a casa, mi sono detto: L’Establishment del Paese deve essere veramente mal messo se dopo sei anni da quel fatidico 16 novembre 2011, quando il Governo Monti giurò, e iniziò un nuovo corso, dopo aver avuto tre governi targati Pd, ha in mano una sola opzione post voto. Un governo di un Pd smagrito, incerottato, guidato da un leader precocemente invecchiato, costretto a chiedere aiuto a un Silvio Berlusconi (dalla “vecchiaia esagerata, della quale non si vergogna più” come sibila Francesco Merlo), portatore di voti così apertamente disprezzati ma senza i quali non potranno governare.

Da analista in servizio permanente effettivo sto cercando di capire, in ogni ambiente che frequento, quanto sia applicabile il saggio ammonimento di Aldo Moro “Temete l’ira dei calmi”. Come andrà a finire lo sapremo fra tre mesi. Una cosa però mi è chiara, fra un anno, alla nostra cena dicembrina targata 2018, parleremo di un’altra Italia.

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