Molti anni fa mi lanciai in un divertissement intellettuale. Scrissi quella che pomposamente
chiamai la “Prima Legge della Termodinamica Manageriale”, basandomi sul principio che
per conservare intatta l’energia termodinamica di un’azienda occorra dirottare altrove
l’energia negativa dei CEO di nuovo conio. Così, presi atto che i curricula dei predestinati
ad essere élite, tutti provenienti dalla casta patrizia, si articolano in sei mosse e in due
corsi:
1 Laurea a pieni voti nell’Università più prestigiosa del proprio paese;
2 Master in una delle cinque top University, quattro in USA, una in UK;
3 Perfetto mid-atlantic english;
4 Corso da sommelier in uno dei sette top Château di Bordeaux;
5 Corso di assaggio nei tristellati scandinavi, per cogliere i retrogusti del cibo sostenibile.
6 “Junior Partner” in Goldman o in Morgan o in McKinsey;
7 “CEO Assistent”;
8 “President and CEO”.
Conclusi che con tali profili professionali, e conseguente loro carriera, è tecnicamente
impossibile non portare al fallimento l’azienda loro affidata.
La grande intuizione del CEO capitalism è stata quella di trasformare, con destrezza, lo
Stato in una “fisarmonica” che permettesse, nelle fasi di crescita, una radicale
“privatizzazione dei profitti”, mentre in quelle di crisi scattasse in automatico una
mascherata “nazionalizzazione delle perdite”. Per comunicare questa modalità si
palesarono format ispirati al teatro dell’assurdo.
Recentemente una di queste rappresentazioni teatrali si è svolta nel Parlamento italiano
dove Carlos Tavares chiedeva quattrini pubblici per vendere in Italia auto fatte altrove,
mentre un ventaglio di parlamentari, guidati da un pugnace Carlo Calenda, chiedevano
investimenti e conseguenti impegni tempificati di volumi di produzione locale, slide
colorate comprese.
Al governo e ai pugnaci parlamentari dedico questo inciso americano a futura memoria.
Fui convocato dal Governatore dello Stato ove c’era uno degli stabilimenti che avevo
deciso di chiudere. Mi disse con sorridente fermezza: “La informo che lei secondo le leggi
federali è libero di chiudere e di licenziare, of course. La consiglio però, prima di
procedere, di far fare un completo carotaggio dello stato del terreno su cui sorge lo
stabilimento. Quando chiuderete, il terreno dovrà essere da voi bonificato e riconsegnato
alla nostra comunità nelle stesse condizioni ecologiche neutre in cui oltre settant’anni fa
noi lo consegnammo a Henry Ford I”. Dopo i primi carotaggi, fatti quattro conti, con la
coda fra le gambe, tornai dal Governatore per confermargli che lo stabilimento non
sarebbe stato chiuso. Al suo posto ne chiudemmo uno in Europa, ove i politici erano di ben
altra stazza.
Le nostre élite politico-sindacal-mediatiche continuano a fingere di non ricordare che una
decina d’anni fa l’Italia uscì (rovinosamente) dalla giostra dell’auto. Anche allora lo fece
con una rappresentazione da teatro dell’assurdo. La fuga di Fiat Auto dall’Italia fu
preceduta da un bombardamento di piani strategici pluriennali (ridicoli già a prima vista)
che il CEO sparava ogni anno (si, ogni anno!) a un parterre di politici, di giornalisti, di
accademici, di sindacalisti, tutti dimentichi del piano precedente, ma devotamente
pendenti dalle sue labbra! Ora, John Elkann e Carlos Tavares ci riprovano. Il nostro
governo avrà capito che gli stabilimenti cacciavite rimasti hanno posti di lavoro
decomposti, ricoperti da lavoratori invecchiati in un’infinita cassa integrazione calcolata in
lustri?
A livello europeo, una certezza. Presto ci toccherà pagare le perdite (immagino
fantozziane) derivanti dall’imbarazzante decisione “2035”. Infatti, causa l’imposizione
politica da parte della Commissione UE ai Costruttori di un prodotto che i “Clienti”
(Cassazione di ogni prodotto) considerano unfit, per cui si rifiutano di comprarlo, ci sarà, a
gioco più o meno lungo, l’ovvia crisi industrial-finanziaria dei tre Costruttori rimasti. Sono
due francesi e un tedesco, diventati tecnologicamente follower della Cina. Come si dice al
bar sport, Stellantis, Renault, Volkswagen avranno mica perso il treno dell’elettrico
dominante? Il recente furore con il quale costoro distribuiscono dividendi principeschi agli
azionisti, licenziando al contempo operai, cosa significa?
La Commissione Ursula, sostituendosi a Francia e Germania, sarà costretta a farsi
carico della nazionalizzazione del comparto? È esattamente ciò che vogliono, senza dirlo, i
tre Costruttori europei: europeizzare la sconfitta, raccattare il raccattabile, lasciare la
patata bollita ai cittadini europei. È possibile che quanto prima Ursula von der Leyen
pubblicizzi la strategia riparativa dell’errore “2035”, confermando la data, tranquillizzando
così il mondo woke, per poi spostare le modalità di execution dal prodotto (unfit)
all’alleanza strategica. Lo slogan sarà fulminante: “Abbiamo costruito l’auto elettrica
europea, l’Airbus elettrico terrestre, primo esempio di integrazione europea di
prodotti/mercati, e … giù chiacchiere piene di frasi fatte!”
Quando capiremo che con una classe dominante selezionata secondo la “Prima Legge
della Termodinamica Manageriale” di cui sopra, operando in una atmosfera culturale woke
come l’attuale, possiamo collassare da un momento all’altro?
Post-Scriptum. Questo è l’aggiornamento del Cameo-Lettera aperta pubblicato su
Zafferano il 10 febbraio scorso, e inviato alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Ossequi al colto pubblico e all’inclita guarnigione!
Zafferano.news