Tempo fa decisi che non avrei più scritto nulla, a caldo, sugli attacchi del terrorismo di matrice islamica. Il mio limite è culturale, quando un fenomeno diventa routine la commozione che mi assale mi blocca, non riesco a scrivere, l’emozione mi scompagina i pensieri, l’analisi si secca, l’execution prenderebbe il sopravvento, e non è il caso. Allora, quasi per farmi perdonare dalla mia coscienza, leggo tutto quello che scrivono i colleghi. Così è stato anche questa volta.
Massimo Ammanniti ha trovato le parole giuste per non turbare i più piccoli. Eraldo Affinati ha cercato di dare un senso a ciò che è avvenuto, senza però dimenticare la gravità del fatto. Giorgio Gandola ha colto un aspetto fondamentale: salvare la generazione dei Millennials, e per fare ciò, dice, dobbiamo stare loro vicino “senza chiudere occhi pusillanimi sulla dura realtà: ci considerano crociati”. Paolo Giordano si pone la domanda “Chi resta saldo?” e ci suggerisce le risposte che dovremmo dare. La più umana è quella di Dietrich Bonhoeffer: “Resta saldo chi pensa e agisce con in mente la prossima generazione, pronto ad andarsene ogni giorno, senza paura e senza preoccupazione”. Infine l’amico Massimo Recalcati, come psicoanalista infantile e grande scrittore, ha sensibilità che noi non abbiamo, scrive: “Dopo ogni attentato in cui i nostri figli muoiono, muore con loro anche un pezzo di mondo. La prima cosa da fare, allora, è resistere alla tentazione della chiusura.”
Cinque colleghi hanno detto tutto quello che si poteva dire, e l’hanno detto in modo splendido, anche perché era la prima volta che Isis colpiva adolescenti, per alcuni la prima serata vissuta da adulti. La prossima volta a chi toccherà? A un ospedale? A un asilo? Tutto nasce l’11 settembre del 2001, sono passati 16 anni, il terrorismo islamico da azione di guerra è diventato discount, attentati sempre più low cost verso “crociati” che non sanno di esserlo e, spesso, neppure conoscono il significato della parola. La mia sensazione è che la strategia europea sia quella di “contenere-sopire”, lo deduco da alcuni segnali deboli. Quando, a un livello culturalmente inferiore a quello dei colleghi citati, il fatto viene declinato in parlamento piuttosto che nei talk show o alla radio, il processo comunicativo è sempre lo stesso, identiche le locuzioni usate:
1 “Siamo tutti inglesi” (o francesi, o …): momento di solidarietà.
2 “Il terrorista islamico è nato qua, è uno di noi”: momento di coinvolgimento-assoluzione.
3 “Mai cambieremo il nostro stile di vita”: momento di orgoglio e di speranza.
Vero? Falso? Chissà. Un tempo questo processo consolatorio durava alcune settimane, via via che gli attentati si succedevano il tempo si riduceva, questa volta è durato tre giorni. E’ giusto così? Sì, se la strategia dei governi europei è il “contenere-sopire”, nella convinzione (speranza?) che il fenomeno vada a scemare. Quanto può durare questa strategia? Quali danni collaterali (politici, economici) comporta? Non lo sappiamo, in mancanza di direttive chiare noi popolo abbiamo una sola opzione: “Tiremm innanz”, come ripeteva il patriota Amatore Sciesa. E il voto.