E così Alitalia si sta avviando verso un nuovo fallimento. Sarà vero? Questa volta ci credo, ma sarà un processo lungo, sopra tutto sconcio. Seguendo i giornali di questi giorni mi pare tornare indietro di una dozzina d’anni, quando si parlava di “compagnia di bandiera indispensabile per garantire il trasporto dei turisti a godere del nostro petrolio” (Berlusconi), quando era di moda il termine “salvataggio da parte dei capitani coraggiosi” (ci si riferiva a quelli mitici di Telecom), quando sinistra (Prodi) e destra (Berlusconi) si scannavano sulla vendita o meno di Alitalia ad Air France (senza dire che il compratore l’avrebbe subito liquidata tenendosi, come ovvio, marchio, slot, aerei, e gettando il resto). Furono anni di sconcezze politico-manageriali di ogni tipo e di tutti gli attori. L’elenco degli ex amministratori delegati di Alitalia è al contempo una galleria di nomi altisonanti e di orrori del ceo capitalism montante.
Allora ero molto impegnato in una corrispondenza multipla con amici, sia liberal che liberisti, e sostenevo una posizione liberale nature, che non era per nulla apprezzata. Mi pare giusto riprendere il filo del ragionamento, visto che il Governo Gentiloni è chiamato a una decisione. Nulla è cambiato da allora: siamo ancora allo stesso punto, quanto meno in termini strategici. C’erano due opzioni, ma la 2 richiedeva una ristrutturazione di chirurgia demolitrice che politica e società civile non erano disposti ad accettare. Comunque, ricordiamo il solito dilemma:
1 Alitalia è un’azienda strategica? Se non lo è si arrangino gli azionisti privati, punto. Fallisca secondo le regole del codice civile, come stiamo lasciando fallire (sciaguratamente) decine di migliaia di piccole-medie aziende e milioni di esercizi commerciali e di attività agricole, attraverso una politica fiscale criminale.
2 Alitalia è un’azienda strategica, come lo è Air France per la Francia, Luftansa per la Germania, British Airways per Uk? E allora si intervenga, con la brutalità detta sopra, ma solo se si hanno gli attributi per farlo.
Leggo che il ministro Pier Carlo Padoan lo escluda. Pare che Calenda, Graziano Delrio, Giuliano Poletti abbiano sibilato (sic!) “Un giorno si renderanno conto che l’esecutivo ha fatto il massimo”. Quindi mi pare ovvio che l’opzione 2 sia cassata. Bene.
Allora fallirà e ci sarà il mitico “spezzatino”? Chissà, l’unica certezza è che il processo sarà lungo, sopra tutto sconcio. In questa partita Alitalia gli attori sono molteplici. Ci sono gli azionisti (un vettore arabo e funzionari di banca), i loro manager (stranieri e italiani), i loro consulenti (la parte più vorace), i sindacati (non vedo più la loro utilità, l’altro giorno ho ascoltato in tv uno della Cisl, parlava come Marchionne non oserebbe mai fare), al di sopra di tutto ci sono un premier precario e quattro ministri impresentabili (oltre tutto terrorizzati dal problema).
Con questo parterre i dipendenti hanno votato No: nessuno se lo attendeva. Perché l’hanno fatto, specie dopo la vicenda Almaviva Roma? Tante le motivazioni date, credo a una sola, profonda, psicologica, quella del documento anonimo “Perché No in dieci punti”. Basta e avanza il primo: “Votiamo No perché la Politica vuole che votiamo Si”. Quando al vertice di ogni organizzazione umana sono scelti con cura i più incapaci, quelli senza uno straccio di curriculum operativo, chiacchieroni allo stato puro, nessuno che concepisca la politica e il management come execution, allora i cittadini saggi devono votare No, ogni volta che è loro concesso. Come finirà? Come è avvenuto per le aziende ex statali: banchetti di sciacalli. I dipendenti? In una prima fase verrà probabilmente scelta l’ipotesi di una sconosciuta hostess: “Blue Panorama è in amministrazione controllata da anni, nessuno è stato licenziato”. E poi? Reddito di cittadinanza pentastellato e piloti e assistenti di volo che si riciclano come driver del magico modello Uber. Il futuro del lavoratori del ceo capitalism è solo californiano.
Riccardo Ruggeri