Consultati i libri di storia, non ho trovato epoche ove, in presenza del fallimento (certificato) di un’intera classe dirigente, la stessa non venisse, in qualche modo, spazzata via. Invece no, questa ha preteso non solo di rimanere al potere, ma pure di continuare a esistere. Se li ascolti singolarmente senti un noioso refrain, un solo verbo, “innescare”, un solo sostantivo, “crescita”. Non spiegano però che c’è crescita solo se il Pil supera il 3%, e lo fa per più anni. Dopo nove anni, consuntivano un unico risultato: non c’è stato alcun innesco, nessuna crescita, solo fallimenti, in serie. Eppure sono ancora tutti lì, sulla tolda di comando, con il loro banchetto pieno di ricette scadute.
Per una volta lasciamo in pace i politici, prendiamo due tecnici, Mario Draghi (71 anni) e Jens Weidmann (49), due generazioni diverse, eppure osservateli come parlano, come si muovono, come la considerazione che hanno di loro stessi esondi da ogni parte, così il disprezzo intellettuale verso i sudditi, trattenuto a fatica. Sembrano fratelli. Avevano due tesi opposte: l’inflazione avrebbe risolto i problemi, non essendoci, bisognava crearla artificialmente, diceva uno, l’altro lo negava. Vinse il primo.
L’economia è come la roulette, o esce il rosso o esce il nero. Da anni ho cessato di ascoltare gli economisti, come posso credere a uno o all’altro se le probabilità di successo sono sempre al 50%? Mi piacciono quando spiegano perché è avvenuto ciò che loro prima negavano e ora negano di averlo mai detto. L’unico economista che salverei è Paul Krugman (un mito), lui è convinto che debba uscire sempre il rosso, quando esce il nero, o c’è un guasto alla roulette, o è un imbroglio di qualche idiota. E’ il prototipo di riferimento di quest’epoca.
Per anni Mario Draghi ha buttato 60 miliardi al mese (poi 80) nella fornace (lo ha fatto anche in nome dei miei nipotini che pagheranno poi il conto della sua esaltazione), per ottenere un’inflazione del 2%, che, secondo lui, avrebbe fatto scattare il mitico “innesco”. Questo avrebbe portato il Pil oltre il 3%, quindi alla crescita, alla ricchezza, all’ascensore sociale, alla distribuzione della ricchezza, alla felicità. Per anni ha consuntivato lo 0,2%, per anni ho scritto che doveva o dimettersi o essere licenziato, come succede nel mondo (vero), ove valgono regole di mercato e la meritocrazia. Da anni noi italiani siamo via via impoveriti, i prezzi erano sì fermi, ma la disoccupazione aumentava, il debito pure, il welfare si sfrangiava, il territorio collassava per mancanza di banale manutenzione (poi ci si metteva pure il terremoto). Ora l’inflazione è ripartita, Draghi esulta, Weidmann rosica. Non essendo un economista ho una certezza: passeremo dalla deflazione all’inflazione, nessuno se ne accorgerà, nulla cambierà.
Quando realizzeremo che è il fallimento di un modello, di una governance, di un classe dirigente? Eppure, lo confesso, come liberale (nature) sono sereno, anzi molto sereno: saranno proprio il “mercato” (che costoro invocano a ogni più sospinto, senza rispettarlo mai) e la “scheda elettorale” che, accoppiandosi fra loro, ci salveranno. Prendete uno dei corni del dibattito, l’Europa. E’ in corso una lotta fratricida fra quelli che vogliono “uscire” e quelli che anelano a “più Europa”. Non sanno che il destino dell’Europa “tedesca” è segnato. Vedrete, piuttosto di fallire, passo dopo passo si “italianizzerà”.
Purtroppo, è un’epoca che non produce hombre vertical.
Riccardo Ruggeri