Gentile Presidente Sergio Mattarella, un lettore diciannovenne (Emanuele) mi ha scritto per sottopormi una sua riflessione (Verità, 6 gennaio 2017). Da post ottantenne mi permetto di fare altrettanto con Lei. Mi spoglio del mio status di giornalista, ho il privilegio di non rappresentare nessuno, neppure il giornale che mi offre questo spazio (seguo una mia autonoma linea editoriale), le scrivo da vecchio signore non schierato, ma attento agli interessi del paese (amo molto l’Italia e gli italiani), che considera la Seconda Repubblica un accidente della storia. Vorrei che l’Italia ne uscisse presto. Come? Liberandosi di questa fradicia classe dominante (nell’accezione di “ruling class”, del professor Angelo Codevilla). Se vuole, mi metta fra quelli che i sondaggisti classificano: “non votanti”, “schede bianche”, “indecisi” (nel caso mio, non per ignavia, ma per sofferenza, sono sempre indeciso a scegliere fra due negatività, come impone il maggioritario). Per dirla alla francese, sono un “elettore castoro”, come quelli della generazione dei 18-34 anni, che hanno votato No per un’avversione totale al cinismo, all’ipocrisia, all’oscena mancanza di scrupoli dell’attuale classe dominante.
Tre anni fa, l’establishment nostrano mise a punto una nuova strategia, attraverso il combinato disposto di: a) un giovane leader costruito in una convention, accattivante nel linguaggio e negli atteggiamenti, all’apparenza giovane, in realtà vecchio; b) una radicale modifica della Costituzione; c) una legge elettorale ispirata agli anni ‘20. Costui, certo di stravincere, volle lo scontro frontale con i cittadini (sic!), condusse una campagna elettorale senza esclusione di colpi verso gli avversari (per lui erano tutti populisti, nell’accezione volgare di neountori). Gli italiani risposero alla sfida, andarono in massa al voto e (60 a 40) lo abbatterono. Che diritto ha costui alla rivincita? La politica non è la boxe dei tempi di Angelo Dundee. Se avesse vinto il Si, se lo vede dare la rivincita a quelli del No?
Eppure, si sussurra che l’establishment, battuto appena un mese fa, abbia già un piano-blitz per forzare la situazione: non credo. Come istituzioni siamo a posto, al vertice abbiamo lei e il premier Paolo Gentiloni, due persone perbene. Oltre ai tanti problemi operativi sul tavolo, entrambi ne avete uno prioritario: ripristinare rapporti decenti fra noi cittadini, stravolti da anni di atti politici divisivi (lei vi si dedica da tempo con tanto impegno, grazie). Perché mai, in queste pessime condizioni di clima dovremmo andare a elezioni anticipate, mancando 11 mesi al normale scioglimento della Camere? Oltre tutto i vari partiti non hanno ancora (com’è giusto) idee chiare sui nuovi scenari geo-politici-economici che si stanno riconfigurando. Poi, sta per giungere al punto di non ritorno il problema immigrazione. Ci aggiunga il lavoro, sempre più assente e degradato a lavoretti, e lo scenario è completo, con la minaccia terrorismo a mò di prezzemolo.
Un grande lavoro attende Lei e il premier da qui al febbraio 2018. Finalmente ce ne siamo accorti anche noi cittadini comuni: i membri del G7 erano tutti sopravvalutati, incapaci di gestire con dignità politica persino un banale passaggio di consegne o un’uscita di scena. Infatti, al primo appuntamento elettorale disponibile i cittadini se ne liberano, li fanno cadere come birilli. Si lasci decantare la situazione, si lavori tutti per pacificare il paese. Non vorremmo mica un’altra campagna elettorale Jim Messina style? Nei periodi di crisi strutturali, di radicali mutamenti socio economici, la volontà e la rappresentanza popolare deve sempre prevalere. Noi abbiamo bisogno di tanta buona politica, soprattutto di leader maturi.
Presidente Mattarella, con il nostro voto siamo riusciti a evitare l’ospizio alla nostra zia Costituzione, come volevano i fautori del vecchio spacciato per nuovo, ora ci aiuti a votare quando è giusto, cercando di portarci tutti alle urne. Sono certo che se votasse il 92,23%, come il 18 aprile 1948, torneremmo a essere un grande popolo, con nuovi Einaudi e De Gasperi 2.0. Grazie dell’attenzione, Presidente.
Riccardo Ruggeri