Che cosa ci hanno insegnato i cinque giorni successivi all’esito del referendum? Molte cose, certo i fatti possono essere letti in modi diversi, io vi do la mia versione, consideratela una delle tante. Questo Cameo è un semilavorato, appunti per analisi successive da approfondire, da sviluppare. Ricordo, per i lettori che mi leggono da poco: non sono né renziano né anti, come un tempo non fui né berlusconiano né anti. Ragiono e scrivo da analista senza sentimenti ed emozioni, se non verso il mio Paese, che vedo precipitare in un’ennesima, triste sfida all’O.K. Corral.
1) Matteo Renzi. Il voto, l’unico offertoci, è stata la risposta politica degli italiani (70% di partecipazione!) a come è stata gestita la Grande Crisi del 2008: il lavoro, la globalizzazione, la tecnologia, l’immigrazione selvaggia. Dopo Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta, lui ha pagato, sia per i suoi predecessori che per i suoi molti errori. Finita l’avventura del governo, per Renzi si apre il momento clou della sua vita.
La fase 1.0 si è chiusa con una sconfitta secca. Può uscire per sempre dalla politica, come ci aveva garantito se avesse perso, ovvero può rimangiarsi tutto e scegliere un lungo (o breve) periodo sabbatico, stile Romano Prodi, Tony Blair, Mario Monti, Mario Draghi, José Barroso. Loro l’hanno trascorso in qualche banca d’affari, a riposizionarsi e ricostruirsi un’immagine, per tornare poi in politica. È la soluzione che gli suggerisce Paolo Mieli (uno del Sì): «saltare» la prossima tornata elettorale, tornare fra cinque anni rigenerato, dopo aver fatto dimenticare le bugie e le gaffe (a proposito, la peggiore è stata «accozzaglia», piena di disprezzo verso gli avversari).
Aver portato il Pd a fare il pieno di voti nelle oasi del lusso ed essere marginale nelle periferie povere è stato l’unico obiettivo raggiunto. Le interviste davanti alla Scala degli spettatori della prima sono da antologia del renzismo, neppure di un partito di centro che guarda a sinistra.
La lunga cavalcata del referendum ha dimostrato che, checché ne dicano gli esperti, Renzi non sa comunicare, sia in video che sulla Rete. Il linguaggio della Leopolda è vecchio, tipico delle convention aziendali anni ’80-’90, strutturalmente debole, può funzionare fino a che sei all’opposizione, se insisti ti porta all’implosione del messaggio. Spero abbia capito che lo storytelling ha la durata di uno yogurt, facile da consumare, ma con scadenza dietro l’angolo. I giovani non sono fessi, come invece lo siamo stati noi vecchi, acquisiscono e credono agli obiettivi, ma se non si trasformano subito in risultati, cassano il proponente.
Renzi si è pure rivelato debole nel linguaggio del corpo, di cui non si cura, concentrato com’è nella mitragliata di parole che emette al minuto. Io che lo studiavo per lavoro, nell’ultima settima della campagna elettorale, cambiavo canale appena lo vedevo comparire: è stata una fuga continua da un bombardamento mediatico ossessivo. Che succederà ora? Ci penserà il presidente Mattarella, persone perbene. Per quanto mi riguarda, mi fido della sua saggezza, mi fido di lui.
2) I renziani. Sono i grandi sconfitti, primo fra tutti il presidente emerito Napolitano. La sua sessantennale traiettoria politica (Budapest 1956-Roma 2016) si è chiusa: giudizio popolare inappellabile. Inutile parlare del Giglio magico, più o meno allargato: senza Renzi, gli uomini del suo giro non contano nulla, se tolgono loro autoblù e scorta si afflosciano. Quelli del Partito della nazione, che vogliono lo scontro finale, immagino prevarranno.
3) Gli antirenziani. Il loro destino sarà identico a quello degli antiberlusconiani di qualche anno fa, rafforzeranno con sacchi di sabbia le loro ridotte, pronti allo scontro finale. Identica la strategia: non si fanno prigionieri.
4) Che fare? Osservare e tacere. Che piaccia o meno, toccherà a noi della maggioranza silenziosa salvare il Paese. Dal tipo di legge elettorale che i due schieramenti sceglieranno, capiremo su quale terreno si svolgerà la battaglia finale. Stante l’odio profondo che divide i due schieramenti, entrambi a base esclusivamente ideologica, prevedo che la legge elettorale, qualunque essa sia, ci costringerà a scegliere fra il Partito della nazione, cioè Matteo Renzi, e la parte che ha più possibilità di abbatterlo. Un nuovo O.K. Corral. Che tristezza.
Riccardo Ruggeri