In questa nebbia d’agosto che pare cipria, protetto dall’aria condizionata (mi sembra di essere in un supermercato senza scaffali), mi godo il letto. E’ estate, mi piacciono le storie leggere dei vip, veri o finti (ho difficoltà a distinguerli). Mi accontento di quello che passa il convento in attesa di Venezia e del documentario su Gianni Agnelli (mi hanno anticipato un episodio inedito ai più su un presidente della Repubblica: immagino di cosa si tratti, un Cameo si imporrà?).
Ho scelto tre profili umani che fossero uniti da un impalpabile fil rouge, come Mark Zuckerberg, i ragazzi tedeschi della Iuventa, Gianluca Vacchi: per loro ho coniato il termine “spaccone etico”. Andato su Google per un conforto sono stato respinto, respinto con perdite. Compare solo “”spaccone poetico”. Detto fra noi Google è un motore di ricerca idiota, senza un grammo di ironia.
Ero pronto a una faticosa ricerca quando ho scoperto che il Foglio di sabato 12 agosto aveva già fatto il lavoro che io avevo in testa, di certo in tutt’altra ottica editoriale. Il Foglio mi ha fatto pure un regalo, il cartaceo del discorso di Zuckerberg ad Harvard il 25 maggio 2017. Ricalca quello di Steve Jobs di 12 anni prima a Stanford, sintesi di tutti i discorsi declamati da rettori e premiati nelle università fasciate dall’edera (lo vissi come attore premiato nel 1996 alla Loyola University di Chicago, da allora sono un fan di queste ridicole cerimonie).
Lo standard è di circa 15.000 battute, le prime 14.500, specie per noi italiani, sono da buttare, gonfie come sono di retorica, fuffa allo stato puro. Tutto è concentrato nel finale, per trasformare cortesi applausi in scroscianti. Jobs finì raccontando una storiella anni Settanta con la celebre locuzione “Stay Hungry. Stay Foolish” (Siate affamati. Siate folli). Quattro parole, ed entrò nella storia.
Zuckerberg, imbarazzante per lui il confronto, chiude: “…mi viene in mente una preghiera, Mi Shebeirach, che recito ogni volta che devo affrontare una sfida e che canto a mia figlia pensando al suo futuro, ogni sera quando le rimbocco le coperte”. Dice: “Che la fonte di forza che ha benedetto quelli prima di noi ci aiuti a trovare il coraggio di rendere la nostra vita una benedizione”. Non possedendo la sintesi geniale del ragionier Fantozzi, mi impongo un sonoro “No comment”.
Popolo curioso il tedesco. Non si accontenta di produrre grandi filosofi come Karl Marx, ma pure il marxismo, grandi leader politici come Adolf Hitler, ma pure il nazismo, e ora questi figli dell’alta borghesia tedesca, perseguitati dall’eccesso di ricchezza, si dedicano non solo a un pacifismo contrito ma pure violento. Come i ragazzi della nave Iuventa (sequestrata per presunti crimini) che sfogano i loro eccessi ormonali in attività da centri sociali (slogan operativo: “Un confine esiste solo per essere violato”). Si fanno chiamare Fluchthelfer (significa coloro che aiutano i rifugiati, peccato che sia mutuato dal nazismo). Capisco che questa esuberanza da eccesso di proteine aristocratiche abbiano sfogo nel Mediterraneo (il clima è splendido) ma nulla vieterebbe che i migranti salvati fossero portati nella civile Amburgo. Sempre presenti da Ventimiglia a Calais, a Ceuta, possibile che non trovino il tempo di andare nei campi di concentramento che la loro Cancelliera, e il suo losco compare, il sultano Recep Erdogan, hanno creato in Turchia?
Infine Vacchi che colgo dal bellissimo pezzo di Giuseppe De Filippi, una non intervista di un non personaggio. In realtà lui non ha più nulla di umano (certo si diverte, spende, scopa, si tatua, soprattutto svacca), lui ha ceduto la sua anima agli 11 milioni di follower, loro si proiettano in lui, per soddisfarli lui si distrugge. Ormai gli è rimasto solo il ruolo mito di quest’epoca: la disintermediazione.
Zuckerberg disintermedia per denaro e per potere, i giovani di Iuventa disintermediano per noia da ricchezza ereditata, l’unico che disintermedia senza secondi fini, solo per i suoi follower è lui, Gianluca Vacchi.
Avevo speso tempo per trovare un termine elegante (“spaccone etico”) che rappresentasse il fil rouge di questa fauna opprimente seppur ridicola, in realtà in italiano esisteva già: cazzaro.
Riccardo Ruggeri