Rifiuto a rassegnarmi di convivere con il terrorismo islamico

 Una premessa. Questo Cameo è scritto per me, solo per me, non ha nessuna pretesa di rappresentare alcun altro, non certo il giornale (qualora il direttore decidesse di pubblicarlo), o i lettori che mi leggono, men che meno alcuna istituzione pubblica e privata alla quale sono più o meno legato. E’ semplicemente un atto privato reso pubblico, un atto dovuto a mia mamma, a mio papà, ai miei nonni paterni, che hanno passato la vita lavorando duramente, prima la terra (di altri) poi nelle officine della Fiat, sempre rispettando le regole e la legge, mai arruffianandosi con il potere. Furono (fummo) antifascisti quando c’era il Fascismo, anticomunisti al tempo del catto-comunismo imperante, e ora anti suprematisti liberal nel fascismo politicamente corretto di oggi.

Provo vergogna per come gestiamo il problema del terrorismo islamico, in quanto lo consideriamo alla stregua di un fenomeno naturale, come fosse il terremoto. Esso è purtroppo la conseguenza di una sciagurata politica che l’Occidente porta avanti da un quarto di secolo sotto la leadership di tre presidenti americani, Bill Clinton, George Bush, Barack Obama, alla quale noi europei ci siamo supinamente associati.

Gestendo la politica economica in un certo modo (il micidiale ceo capitalism), abbattendo l’ascensore sociale che permetteva a tutti di crescere, con fatica ma in modo armonioso (perché meritocratico), accettando lo “stile di vita” (low cost, con al centro il “consumatore idiota”) imposto dalle felpe californiane (le Big Five), distruggendo il lavoro e la sua dignità per creare una comunità di zombie interconnessi che per sopravvivere è costretta a fare lavoretti e ad aggrapparsi all’osceno reddito di cittadinanza, avviluppandoci nel gomitolo incipriato del politicamente corretto, infine proponendo di “abbattere muri e costruire ponti” senza rendersi conto che il risultato finale di quest’opera di edilizia politico-economico-sociale sarà un immenso campo di concentramento. Qua, i peggiori di noi, costantemente interconnessi, faranno  i kapò o i cappellani o gli imam, gli altri gli zombie.

Se una persona che fa parte dell’élite come me si sente già in un campo di concentramento, immagino gli altri. Lo so, questa dissociazione è pregna di un certo velleitarismo intellettualoide, resta però il fatto pratico che con il terrorismo islamico io mi rifiuto di convivere, punto.

Riccardo Ruggeri

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