La riflessione del consigliere di Reagan che ha votato per Trump: «Speruma bèin»

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Per 15 mesi ho seguito le primarie democratiche e repubblicane, ho assistito allo scontro fra due candidati dem, Hillary Clinton, impresentabile, e Bernie Sanders,  presentabile ma improponibile (sbandierare il termine socialist è certezza di sconfitta). Lo stesso è avvenuto fra i 17 candidati rep. Per quel che vale, a me piaceva Ted Cruz, per la sua storia personale e perché era l’unico dichiaratamente anti establishment, insieme all’impresentabile Donald Trump. Alla fine, The Hillary ha vinto (male) le sue primarie, mentre The Donald le sue le ha vinte bene, malgrado il totale disprezzo del partito, ricambiato.

Nei momenti topici di questo articolato percorso, il mio amico professor Angelo Codevilla, celebre politologo americano ed ex collaboratore di Ronald Reagan, che i lettori della Verità stanno imparando a conoscere, mi ha aiutato a separare il grano dal loglio. Le nostre analisi si sono concluse prima del Gran Martedì con un dilemma secco: meglio la corrotta Hillary o il buzzurro Donald? A differenza mia, che ipotizzavo una vittoria di Hillary sul filo di lana e auspicavo una futura spallata finale al mondo politicamente corretto ma corrotto dell’establishment dem-rep, Angelo dichiarava il suo voto per il buzzurro.

Ha avuto ragione lui, raffinato intellettuale, schieratosi con gli operai della cintura della ruggine (rust belt), democratici da sempre, saldando questi Stati con quelli agricoli del Midwest e due perle, la Florida e la Pennsylvania. La non accettazione della volontà popolare è stata lasciata a giovani e stagionati radical chic, travestiti da rivoluzionari firmati Oscar de la Renta («Oscar ti fa sentire così speciale»), in sfilata a New York, San Francisco, Malibù, ove, furibondi, si sono acquartierati.

Come sempre succede in politica, nei momenti topici vince l’idea all’apparenza più ovvia, Trump l’ha avuta: rimettere a capo tavola i lavoratori, ripristinare l’ascensore sociale, ritornare al capitalismo classico delle tre classi sociali, che ha fatto grande l’America, abbandonando ridicoli modelli ispirati alle diverse fuffa economy. Come? In italiano c’è un’espressione popolare che coglie perfettamente ciò che auspico: «fare un tagliando» all’attuale globalizzazione, con un punto fermo, il lavoro americano al centro di tutto. Sembrerebbe il programma di Trump, ma, confesso, pur essendo anni luce meglio della Clinton, di lui non mi fido. Che ne dici, caro Angelo?

La risposta di Codevilla. «Vedi, caro Riccardo, nel dopo elezioni, tutti si attengono alle loro speranze e ai loro timori, ma nessuno conosce il futuro. Nello scenario politico c’era però un punto fermo: l’elettorato americano voleva schiaffeggiare brutalmente questa classe dominante e liberarsene. Trump l’ha capito, così ha vinto le primarie rep, perché dei 17 candidati era l’unico, con Ted Cruz, che offriva questa garanzia. E qui entrano in gioco l’establishment formato da dem e rep e i loro mass media. Questi non hanno permesso all’elettorato repubblicano una scelta fra Cruz e Trump, convinti che allo scontro finale Clinton-Trump la prima avrebbe vinto facile solo se fosse stato in lizza Trump. Scelta suicida. Non hanno capito la gravità delle situazione e neppure il fatto che, malgrado l’improponibile comportamento di Trump, l’elettorato americano non avrebbe avuto dubbi nella scelta fra buzzurro ed establishment. Lo hanno fatto oltre l’80 per cento degli evangelici, una gran parte dei conservatori cattolici, che pure avversano il suo stile di vita ma avversano ancor di più quello delle élite. E così pure hanno fatto i liberisti in economia, pur sapendo che Trump, quantomeno nel suo modo di fare business, liberista lo è all’acqua di rose. E allora perché ha vinto? Semplice. Il Paese non accettava più questa classe dominante dem-rep (corretto chiamarlo Partito della Nazione) che ha impoverito la classi media e povera togliendo loro ogni speranza di ascensore sociale in termini economici, obbligandole poi a fare penitenza per presunti peccati che sa di non aver commesso (schiavitù) o per respingere ridicole accuse di sessismo, omofobia e quant’altro. Accuse strillate da una minoranza di super privilegiati dai comportamenti personali molto discutibili. Qualsiasi altro candidato ci fosse stato al posto di Trump, basta solo che riaffermasse i fondamentali valori americani, contro questa classe dominante intellettualmente corrotta, e avrebbe vinto con molti più consensi. E adesso? Mi aggrappo a una locuzione della mia adolescenza italiana: speruma bèin».

Riccardo Ruggeri

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