Per abbattere un caprone politico (Trump) ci voleva un caprone espiatorio (Weinstein)

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Infinite le domande che le intelligenze più vive dell’establishment, quello vero, non quello succube dell’insopportabile polltically correct dei fighetti di New York e di Silicon Valley, si stanno ponendo sulla vicenda sex-hollywoodiana di Weinstein. Una palla di neve che sta assumendo via via i contorni di un’enorme valanga che spazza via ogni cosa. Nel mio studio sulle dinamiche del ceo capitalism, diventata ormai un’ossessione culturale senile, ho messo in fila tutti i “perché” di questa vicenda, che più banale non poteva essere, per cercare di rispondere al perché dei perché, cioè “Perché Weinstein? Perché tanta violenza? C’è una strategia nascosta?

Da qualche tempo uso, come carotaggi di analisi, i tweet per provocare dolcemente (“Mi sfugge la differenza fra Bill Clinton e Weinstein”), poi in modo più circonstanziato (“Fox News: Weinstein pagò parte delle spese legali di Bill per difendersi nel Sexgate, quindi versò 250.000 $ alla Fondazione Clinton. Perché?”), concludendo con un ambiguo “Ora toccherà a Trump?”, buttato là con nonchalance.

In questo Cameo, senza uno straccio di prova, mi lancio in una conclusione avventurosa: “Per abbattere un caprone politico (Trump) ci vuole un caprone espiatorio (Wienstein)?”. I mandanti saranno il rarefatto mondo liberal newyorchese, attraverso il suo “house organ”, il New York Times, e quello altrettanto rarefatto ma digitale di Silicon Valley, attraverso  “l’house organ” di Amazon, il Washington Post ?

Assumo che l’operazione sia stata pianificata, a tavolino, dai due quotidiani, con il primo leader, il secondo follower, sapendo perfettamente che avrebbe prodotto danni collaterali al mondo liberal di Hollywood, e indirettamente a loro. Il tema sesso-potere è oggi diventato un processo a due vie, da argomento che non ha mai stupito nessuno, a gossip d’accatto.

Fin dal ius primae noctis di medioevale memoria lo scambio sesso-potere ha connotato le relazioni fra noi umani. In un mio libro “Una storia operaia”, racconto di mio nonno che durante gli anni più bui della guerra, quando il pane, legato alla tessera annonaria, era una sommatoria di briciole dal sapore del marmo, lui ci procurava due chili di pane fragrante al giorno grazie alla sua fisicità (siffrediana), apprezzata dalla panettiera del civico adiacente.

Durante la mia lunga vita in Fiat il duo sesso-potere l’ho spesso incontrato nelle sue infinite sfaccettature, dal basso, al medio, all’alto livello. Dal capo officina che si procurava le prede più golose fra le colleghe operaie, semplicemente distribuendo turni e attività meni usuranti, a su, su, lungo l’intera scala gerarchica, ove cambiava solo la contropartita. In quegli enti FIAT, come l’amministrazione e le relazioni esterne, ove il professor Vittorio Valletta imponeva solo manager donne, toccava ai giovani maschi l’attenzione di stagionate virago, versioni femminili di Weinstein. E poi l’ingresso delle prime varianti dell’omosessualità nel suo incontro con il potere aziendale. Era vissuta, non come fatto morale, ma come pericolo per l’azienda: si diceva “E’ ricattabile!” e la sua carriera finiva lì. Oggi la stessa cosa, a parti invertite, succede in certi business diversamente connotati, con il definitivo: “E se fosse omofobo?”. Sulla base del semplice sospetto il malcapitato è tecnicamente out.

E arriviamo alla mia ipotesi avventurosa “Ora toccherà a Trump”. Non ho uno straccio di prova, ho solo il ricordo della strategia delle “dieci domande” per abbattere Silvio Berlusconi. Rilette ora le dieci domande di Repubblica risultano paurosamente invecchiate, hanno un’imbarazzante volgarità analogica rispetto a quella digitale del caso Weinstein. Comunque, Berlusconi pagò a caro prezzo (politico e umano) l’attacco giornalistico. Conoscendo la faziosità dei due giornali americani, si può pensare che l’operazione Weinstein sia la copertura ipocrita per l’attacco finale alla presidenza Trump. L’aspetto curioso è che in questa vicenda gli uomini, intesi come portatori di sesso maschile, non possano esprimere alcuna considerazione: se parli sbagli, comunque.

La lingua italiana coglie la differenza fra stupro e molestia, invece nel caso Weinstein non sono ammesse sfumature: uno è orco, l’altro è agnello. Trump dell’orco ha il profilo e la sostanza. Attendiamo sereni come si muoverà il duo New York Times-Washington Post, nell’alveo della loro raffinita volgarità. Intanto, quatto quatto, Xi Jinping sta rendendo esplicito il passaggio dall’American Dream al China Dream. Prosit.

www.riccardoruggeri.eu

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