Una ricetta per salvare l’Italia c’era, anzi c’è

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Ogni tre mesi passo una serata in un grotto ticinese con un caro amico, banchiere svizzero, riflettiamo e disegniamo scenari politico economici, mangiando polenta e formaggio, meditando con un merlot. Ascoltare la sua analisi dei dati di Eurostat (l’Istat europeo) è un piacere, amo la sua ironica ferocia verso i politici e gli economisti occidentali, secondo lui tutti di regime (la penso così anch’io). Due caste alle quali non riconosce alcuna capacità di lettura onesta dei dati. «Solo noi banchieri», dice, «che campiamo di commissioni, quindi guadagniamo sempre, comunque vada il mercato, siamo gli unici che sappiamo leggere i dati per quel che sono, non per quello che vorremmo fossero. Perché la natura dei numeri è bella e brutale, e come tale deve essere letta e commentata. I numeri hanno sempre ragione, le interpretazioni quasi sempre torto».
Per i Paesi che adottano l’euro la crescita è stata 0,3% sul trimestre precedente e 1,6% sull’anno. Per quelli no euro è confermata la tendenza più positiva, rispettivamente 0,4% e 1,8%. Se si confrontano questi dati con quelli Usa, che le élite europee portano in palmo di mano perché Barack Obama ha aumentano il debito, si dimostra che anche nella politica economica americana c’è fuffa: nel secondo trimestre i dati sono peggiori di quelli europei, rispettivamente 0,3% e 1,2%. Lo stesso dicasi per i Paesi emergenti che scontano pure tensioni geopolitiche.
È da escludere ogni impatto di Brexit su questi dati, come parte dei media di regime franco-italiani tenta di far passare, essendo avvenuta appena sette giorni prima della chiusura del trimestre. Interessante la sua lettura dei singoli Paesi, dividendo il treno europeo fra locomotive e vagoni: il migliore, Regno Unito, rispettivamente 0,6% e 2,2%; ma pure la Germania, 0,4% e 1,7%, va al di là delle aspettative.
I piccoli galleggiano, i peggiori sono i soliti, Francia e Italia (zero), proprio quelli con la sinistra al potere, che si oppongono al rigore con chiacchiere senza senso: non si può crescere senza tagliare la spesa pubblica improduttiva e facendo debiti.
Malgrado la polenta concia, l’amico banchiere è implacabile: «Chi confonde rigore con austerità è intellettualmente un disonesto, i politici e gli economisti di regime, italiani e francesi, mentono, sapendo di mentire, quando imputano al rigore la mancata crescita. Il rigore applicato con costanza e con ragionevolezza favorisce la crescista, di certo non la contrasta». La Svizzera, Paese contadino, pratica il rigore (non l’austerità) da sempre; quando i politici tendono a sgarrare (vedi referendum sul reddito di cittadinanza), li punisce senza pietà.
A volte, i lettori, stufi delle mie analisi non di regime, mi intimano: «Parli, parli, ma se tu fossi al posto di Matteo Renzi che cosa avresti fatto?». Rispondo. Avrei seguito la mia esperienza manageriale di risanatore di aziende tecnicamente fallite. L’Italia è di diritto in questo elenco, perde da sempre, con 1.600 miliardi di Pil, 2.350 di debito, senza il «nero» e senza la riforma Fornero sarebbe già fallita. Che piaccia o meno, noi campiamo grazie a quella riforma, anche se nessuno vuole riconoscerlo.
E poi mai avrei dato la mancia elettorale di 80 euro a 10 milioni di persone (soldi buttati), mentre mi sarei intestato la spending review (con Carlo Cottarelli al mio fianco, giorno e notte, lasciando Yoram Gutgeld al suo mondo McKinsey), utilizzando i risparmi (tutti) per abbattere il debito. Questo fa uno statista, lavora per il medio lungo termine, avendo una sua idea del Paese. Odia l’austerità, quindi, a titolo preventivo, pratica il rigore.
Ovviamente, con questo programma, al referendum di novembre e alle elezioni del 2018 forse sarei stato trombato, ma molti anni dopo sarei stato ricordato con il rispetto dovuto a uno statista. Penso che a questo dovrebbe puntare Renzi se, come dice, ama l’Italia, e io gli credo.
Ormai è tardi? In politica non è mai tardi. Lo farà? Non lo so, ma so che per lui sarebbe imbarazzante essere trombato con un secco No, senza avere neppure tentato, in 30 mesi, di fare lo statista.

Riccardo Ruggeri

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