Quando nella Vigna del Signore ci sono più mafiosi che acini

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Molti lettori con le loro mail spingono il Cameo a pronunciarsi sulle Banche venete. Lo stesso avevano fatto ai tempi delle “Quattro Etruria”, un marchio di infamia che fotografò il peggio del paese. Allora rimasi fermo nel mio rifiuto di scrivere alcunché, il contesto era miserabile, le notizie vere o gossipare erano pregne di cattiveria, una lotta fra bande. Nulla scrissi, però cominciai a raccogliere tutti i ritagli dei giornali che ne parlavano. Ora possiedo un ricco archivio (impolverato) diviso per filoni-ruoli, con dichiarazioni, commenti, polemiche, proposte dai personaggi che si sono succeduti al capezzale delle banche italiane. Letto a posteriori, avendo vissuto in diretta l’allora presente, c’è da divertirsi o da piangere. Ho dato un titolo a questo materiale: “Quando nella Vigna del Signore ci sono più mafiosi che acini”.
C’è il filone degli ex premier: Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi. E’ divertente rileggerli, passano, come fossero adolescenti, dall’entusiasmo dei neofiti per avere risolto il problema banche (si scoprirà dopo che non era così), alla difesa più ottusa del loro operato, colpevolizzando i colleghi, transitati prima o dopo di loro a Palazzo Chigi. Sottile volgarità, mascherata da ironia dozzinale.
Ricco il filone dei banchieri, ove spiccano i grandi nomi, da Mario Draghi in giù. Qua lo scarico di responsabilità è più elegante ma altrettanto feroce, tutto giocato a nascondino dietro leggi e regole europee, cercando di trasferire a Consob quello che spetterebbe, per esempio, a Bankitalia. Se lo posso dire, umanamente e professionalmente, ne escono tutti male: bonzi con facce di bronzo.
Poi, ricchissimo in termini di dimensione cartacea e di sfoggio di dottrina e di intelligenza, l’archivio dei prufesur, dal sempre impeccabile Francesco Giavazzi in giù. Qua sembra una battaglia navale fra teorie economiche all’apparenza astruse, che poi, ogni tanto, seppur raramente, scivolano su temi che ciascuno di noi è in grado di capire. Uno l’ho capito pure io. Se la banca ti ha fregato (ti fa sì un prestito ma ti ricatta obbligandoti ad acquistare sue azioni che scoprirai poi nulla valgono) hai due opzioni: a) se dimostri di essere un perfetto idiota, se a malapena sai leggere e scrivere, se sei vecchio, meglio se vivi in un ospizio, allora puoi sperare di essere definito “risparmiatore”. Con questo marchio ti verrà elargita, sentito Raffaele Cantone, una mancia, anche se per tutti sarai un poveretto, privo persino di uno straccio di autostima; b) non riesci a dimostrare di essere idiota, allora diventi uno “speculatore”, anche se George Soros non ti riconoscerà mai come collega, di certo i prufesur ti guarderanno con malcelato disprezzo. Ti inviteranno a fare causa ai manager delle banche, pur sapendo che questi sono diventati nullatenenti mentre mogli e figli ricchissimi. Se vinci la causa, delle quattro vigne rimaste di proprietà dei manager bancarottieri, ti spetteranno un paio d’acini.
Ed infine il filone di noi giornalisti non economici (gli altri li trovi tra i prufesur), siamo bravissimi a impossessarci della terminologia di base, i più capaci di noi riescono a confezionare dei pezzi che, a seconda dell’ideologia dell’estensore, convincono il lettore che la soluzione gradita all’editore è quella giusta.
Poi ci sono quelli come me che hanno il privilegio di una rubrica di “proprietà”, ove la linea editoriale è personale, non soggiace ad alcun vincolo del politicamente corretto e allora possono scrivere ciò che pensano, convinti che, forse, potrebbe essere quello che pensano la maggioranza dei cittadini. La mia soluzione è semplice, applicare la legge, quella fallimentare. Da quel momento tutto si fa banale: si nomina un liquidatore fuori dai giri soliti. Lo Stato garantisce i risparmiatori, il Commissario la risana, poi la vende al miglior offerente. Stessa procedura che si segue per i beni mafiosi, appartenendo costoro allo stesso giardino zoologico.

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