Stamani alle 7 sono andato a vedere il mare. Per diversi minuti ho abbassato la mascherina e ho respirato. La porto, ma la odio. Ringrazio Dio di non avermi fatto nascere in quell’immensa caverna di pipistrelli che è la Cina nazicomunista di Xi Jinping.
Ho respirato l’aria del mare, a lungo. Poi in lontananza si è palesata la polizia. Il cuore ha accelerato. Mi chiederanno perché guardo il mare? Cosa devo rispondere? Hanno proseguito. Due mesi di arresti domiciliari, guanti, mascherina, distanziamento, mi hanno trasformato. Mi comporto come un evaso. Il dramma è che mi sento un evaso.
Come sono ridotto, come mi hanno ridotto, come ho accettato di essere ridotto.
Ho fatto un sogno: per dissociarmi marciavo, solo e in silenzio, verso Palazzo Chigi, il Palazzo della Consulta, il Quirinale. Guardavo per alcuni minuti la facciata dei tre Palazzi, e poi, sempre in silenzio, e con la mascherina, tornavo a casa, placato.
Chissà come sarà il risveglio dei cittadini quando il pettine arriverà ai nodi dell’economia. Nessuno di noi ne ha la più pallida idea. Stiamo uscendo dalla crisi affranti, incattiviti, maturi per il divano del reddito di cittadinanza. La mascherina ci rende irriconoscibili e muti. Il distanziamento ci degrada ad animali feroci. Lo zoo digitale ci attende.
Ricordo il primo dopoguerra, cantavamo, ballavamo, le ragazze si slacciavano i reggiseni, noi ragazzi ci lavavamo più spesso, fiduciosi.
Il dopo crisi avrebbe dovuto essere un momento esaltante, ove sarebbero sbocciati grandi amori, grandi amicizie, grandi sogni. Quando guardi il mare vedi cose che altri non vedono. Come le sto vedendo io in questo momento: la Corsica, offuscata da nuvole nere non si staglia all’orizzonte, ma io la vedo. Impossibile da Bordighera vedere Porquerolles, ma io la vedo.
Come ne usciranno i millenial? In teoria sono i futuri leader del mondo. Mi chiedo, sapranno che sono destinati al divano, allo zoo, all’irrilevanza dei kapò?
E la generazione Z, quella dei miei nipoti? Per due mesi sono vissuti in simbiosi con i loro genitori, cosa mai successa prima. La casa si è trasformata per loro in uno scambiatore di calore, quell’apparecchiatura che scambia energia termica di un fluido termovettore con altri fluidi aventi temperature diverse. Come usciranno dallo scambiatore? E i loro amici, gli insegnanti? Sapranno riconoscersi?
E ancora. I miei concittadini, anziché continuare a subire le nevrosi di quattro esaltati, si faranno domande?
Perché chi ama la libertà, chi come me è stato concepito e seguito passo passo da mamma, da papà, dai nonni, per essere un uomo libero, non può che farsi domande, di continuo. Mai accettare le risposte preconfezionate dai Goebbels di turno. Per due mesi ho ascoltato solo menzogne, giochi di parole, fake truth in purezza.
Sento “ne usciremo tutti insieme”. E al contempo ci impongono il distanziamento. Si rendono conto che il distanziamento è l’opposto di libertà?
Poi dicono “non disturbate il manovratore”. Si rendono conto che parliamo della mia libertà, della mia vita. Non siamo su un tram, ma nella vita vera.
Nel Cameo precedente ho scritto “No Pasaran”, addirittura tutto maiuscolo. E’ stato un ultimo, fanciullesco tentativo di raccontare una bugia a me, ai miei cari, ai miei amici, ai lettori.
I colpevoli morali del disastro (la filiera dei sociopatici del CEO capitalism) in realtà hanno vinto. Ci hanno imprigionato, ci hanno vessato, ci hanno manipolato, e noi abbiamo accettato tutto. Il “fascism” (nell’accezione anglosassone del termine) si è palesato, e noi zitti.
Finalmente sono riuscito a sputare il rospo, a dirlo, a scriverlo: il fascism (senza virgolette) è fra noi, come diceva Allan Bloom “lo è perché non ci ha mai lasciato”.
Ora sono felice. Posso tornare alla mia casella di partenza, il 1945. Così ho una vita davanti. E il primo atto, quando le condizioni di mia moglie lo permetteranno, sarà andare a Roma a guardare la facciata dei tre Palazzi per alcuni minuti, in silenzio, e poi tornarcene a casa, placati.