Una premessa, doverosa. Pur essendo un liberale, uno dei pochi liberali nature rimasti su piazza, e pure apota, per me scuola e sanità dovrebbero essere pubbliche. Una notazione a conferma: colpito da un carcinoma non banale lasciai la prestigiosa sanità svizzera, rifiutando pure famose location sanitarie anglo-americane, ove ero vissuto per molti anni, e mi precipitai all’ospedale pubblico Molinette di Torino, come paziente pagante. Qua sapevo di trovare due professori (Dario Fontana, Umberto Ricardi) “competenti” sul serio. Qua trovai protocolli e macchinari di assoluta affidabilità, medici e assistenti sanitari, non solo di livello professionale altissimo, ma con un’abilità (skill) non presente altrove: il rapporto umano, come filosofia di vita, e l’umanità dei singoli, come prassi.
La stessa cosa l’ho trovata, in modo casuale, in un piccolo spicchio della scuola pubblica italiana, la scuola media Nievo-Matteotti di Torino. Non sapevo che fosse richiesta, all’esame di 3° media, la presenza di un adulto accompagnatore (a scelta, genitore, parente, amico). Fui perplesso quando la nipotina Carla Maria mi scelse come accompagnatore, immaginai perché ero il più vecchio dei quattro nonni. In realtà mi ha fatto un grande dono: passare due ore meravigliose con lei e con le sue insegnanti (tutte donne) che la interrogavano. Certo, è uno spicchio infinitesimale della scuola italiana, ma per me è stato un momento magico. Il modo con cui l’esame è stato condotto era un mix equilibrato tra i comportamenti classici presenti nel rapporto insegnante-allievo (approfondimento e verifica dei contenuti scolastici) e il digitale applicato alla scuola (la presentazioni con slide, i video di supporto autoprodotti, l’uso di due lingue straniere nell’interrogazione). Ma rigore ed empatia erano ben integrate, e il tutto avveniva in scioltezza, come succede quando tutti gli attori sul palco sono preparati.
A me interessava l’atmosfera nel quale l’esame si svolgeva. Era per tutti il momento della verità: le insegnanti verificavano il loro investimento pedagogico e culturale su Carla Maria durato tre anni; Carla Maria aveva il compito di trasferir loro l’impegno che aveva profuso nello studio e nei suoi comportamenti scolastici; attraverso di lei, in filigrana, erano indirettamente valutati i suoi genitori, la sua famiglia (Sono stati di certo un valore aggiunto). Ebbene io dall’esame ne sono uscito orgoglioso, certo per essere il nonno di Carla Maria, ma soprattutto, come vecchio italiano residente all’estero da quasi trent’anni, quindi più orgoglioso di essere italiano di quelli stanziali che esaltano mondi ricchi di fuffa che non conoscono, orgoglioso di questa scuola media, che mi auguro sia estensibile a tutte le altre scuole medie italiane.
Da circa un anno seguo, per pura curiosità intellettuale, qua in Svizzera, l’introduzione della figura del “mediatore liceale”, una delle tipiche invenzioni organizzative del Ceo capitalism, quando non sa che pesci pigliare. Posso dirlo? Mi ricordano i nostri navigator. Nascondere i problemi inserendo nell’organizzazione scolastica figure burocratiche intermedie a valore aggiunto esclusivamente comunicazionale, lo trovo un atto distorcente della verità e della serietà professionale. Anche in Svizzera si tende, finalmente, a dare la colpa delle criticità della scuola all’osceno (per me sia chiaro) modello culturale, economico, politico, in essere in tutto l’Occidente.
Così scoprono la fragilità emotiva delle nuove generazioni (i “fragili” si valutano nel 30% del totale, sic!), conseguente a quella che giudicano un eccesso di competizione. Sarà mica la banale necessità di studiare e, purtroppo, studiare costa fatica? Questa fragilità emotiva in realtà deriva, e si aggiunge, a quella dei genitori e della società, creando un mix esplosivo intergenerazionale. Così nasce l’idea di una scuola “più orientata verso le materie umanistiche e meno verso quelle scientifiche, notoriamente più ostiche” (traduzione: ridurre le seconde perché richiedono maggiore impegno). Tutto già visto nelle Università italiane, dove lo sbocco finale di questa filosofia educativa da follower perenni sono i centri sociali e i “rave party all’insaputa del Rettore”. Teniamoci stretta la Nievo-Matteotti di Torino, finché possiamo.
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