Dobbiamo essere grati al popolo americano, soprattutto agli elettori che, mettendo sulla scheda un piccolo pallino accanto al nome di Donald Trump, hanno sconfitto la cultura dello zenzero: l’arroganza di voler far digerire ai cittadini l’indigeribile (si legga Hillary Clinton e Barack Obama che, dopo otto anni gettati al vento, l’ha supportata). Così si è riaperta una riflessione politica sul tema strategico che i Clinton, i Bush, gli Obama in quest’ultimo quarto di secolo si erano ben guardati dall’affrontare. In questo senso, la stessa campagna elettorale ha confuso le carte in tavola, mischiando velleitarie semplificazioni, riferimenti nostalgici a Les Trente Glorieuses (i primi irripetibili trent’anni del dopoguerra), una finta atmosfera di consenso solidaristico. Ecco i tre aspetti in cui si articola.
Il primo, la globalizzazione. In sé era, ed è, un’idea intelligente, doveva solo essere perseguita con tempistiche realistiche e crescere per consolidamenti successivi. Purtroppo, i gestori alla sua execution si sono rivelati degli inetti, frettolosi e confusionari. Così molti trattati sono stati bypassati, alterati i loro scopi per imporre, da parte dei più forti, impegni «fuori sacco» nei campi alimentare, sanitario, ecologico, legittimando tribunali arbitrali osceni e tant’altro. Fino a quando costoro vorranno imporre la mitica «armonizzazione», non riconoscendo, peggio violentando, le diversità e ostacolando il multilateralismo? Vogliono che le Vallonie aumentino? Una sana autocritica s’impone.
Il secondo, il combinato disposto globalizzazione-tecnologia, è stato prescritto ai popoli attraverso una cosca di vertice autoreferenziale di non eletti. Super burocrati frutto di una gigantesca cooptazione incrociata, grazie alla tecnica delle «porte girevoli», te li fa ritrovare ovunque: Bce, Federal Reserve, Fmi, Ocse, e poi al governo del tuo Paese, al G7, al G20, e ancora in Goldman & Sachs, JP Morgan, Harvard, London school of economics. Le facce sono sempre le stesse, cambia solo il look delle palandrane.
Il terzo, braccio armato del secondo, è il Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon), ormai riconosciuta da tutti come la più pericolosa deriva in essere del potere. Possibile che sia così difficile imporre a costoro il rispetto delle regole (che non possono farsi da soli) e della legge, come banalmente fecero i nostri nonni a inizio Novecento con i monopoli di allora?
Così la globalizzazione è diventata l’ombrello sotto il quale tutti si ritrovano, alcuni lo vogliono sempre aperto per proteggersi (dalla pioggia o dal sole), altri l’ombrello non lo vogliono proprio, un trench e un Borsalino alla Humphrey Bogart per loro basta e avanza. Gli avversari hanno buon gioco a far risalire a essa tutte le negatività del mondo, i fautori ad aggrapparsi agli aspetti ideologici, confondendo al solito obiettivi con risultati.
Mettiamoci allora nei panni dei cittadini, questi guardano ai risultati e che fanno? Appena gliene viene data l’opportunità, usano l’unica arma che hanno, il voto. Nella fattispecie in America hanno scelto il meno peggio, il buzzurro Trump. Mettiamoci nei panni dei lavoratori, per esempio quelli della rust belt (cintura della ruggine): hanno sempre votato democratico, hanno pagato un prezzo altissimo in termini di diritti e di salari nel 2009, collaborando onestamente con il padronato (vedi General motors e Fca), e ora portano a consuntivo una drammatica perdita di posti di lavoro, mentre le élite sono diventate fantazzionamente ricche e pure arroganti, al punto da stupirsi che abbiano votato una politicamente corrotta, chiamata a sostituire un elegante inetto.
Che fanno stampa e intellettuali di regime? Li bollano come ignoranti, mentre quattro anni prima, come elettori di Obama, erano intelligenti: tipica oscenità liberal. E che dire dei giovani fan di Hillary, che spaccano vetrine e attaccano la polizia (nel frattempo, lei e Obama tacciono) per tornare poi, non negli slums, ma nelle loro confortevoli case dell’Upper East Side di New York o nei quartieri Pacific Heights e Cow Hollow di San Francisco. La cultura dello zenzero mi pare a fine corsa, suggerisco di cambiare approccio, quantomeno di cambiare radice.
Riccardo Ruggeri