Appena arrivato a Torino per una cena con nuore, figli e nipotini, vado dal pastaio della Gran Madre di Dio per i mitici agnolotti del plin. Al ritorno, in piazza Vittorio Veneto, proprio all’altezza del civico 9, dove sono nato, è in via di completamento e di avvio un corteo di qualche centinaio di giovani. Verificato che non siano né Naziskin né Centri Sociali, unici giovani dai quali preferisco stare alla larga (lo confesso, mi fanno paura), decido di associarmi a loro nella marcia. La parola “Freedom” per me è stimolo primario, nel senso freudiano di conoscere la verità per conseguire la liberazione.
In prima fila, una decina di donne sorridenti reggono uno striscione “Trans Freedom March Turin 2017”, così nelle file successive giovani dalla faccia perbene, un’orchestrina di quattro strumenti (curiosamente anche un flauto), il servizio d’ordine garantito dalla Cgil, una sicurezza.
Un passo indietro. Da oltre un secolo, piazza Vittorio è il luogo ove le minoranze (alle quali la mia famiglia si onora di appartenere) scrivono la storia di questo paese. Il primo ricordo, molto confuso è una piazza piena di gente che applaudiva Mussolini (era il 14 maggio 1939). Invece limpido, indimenticabile, quello del 2 maggio 1945. La piazza era piena, come sei anni prima, ma questa volta la gente sbeffeggiava Mussolini e applaudiva gli americani che, attraversato il ponte della Gran Madre di Dio, marciavano verso via Po, diretti in piazza Castello, destinazione Prefettura. Poi partecipai a tutte le manifestazioni del Primo Maggio, oceaniche fino alla caduta del muro, poi via via più mosce, le ultime imbarazzanti. Se fossi la Fiom, unico sindacato che reputo ancora degno (appena) di questo nome, proporrei di eliminare, insieme all’art.1 della Costituzione, la ricorrenza. Perché festeggiare un’ameba, com’è il lavoro al tempo del ceocapitalism? Come si può chiamare lavoro un’attività senza alcuna dignità, precaria, mal retribuita o peggio non retribuita, come diceva il grande IvanIllich il lavoro si è fatto ombra. La buffonata della gigeconomy è la sintesi di questo medioevo del lavoro umano, un Medioevo senza Rinascimento.
Torniamo all’oggi. Lo stesso percorso (piazza Vittorio, via Po, piazza Castello) lo farà la “Trans Freedom March”. Mi ero appena inserito in una delle ultime file del corteo quando una giovane donna mi chiede se sono proprio Riccardo Ruggeri, quello delle due interviste a NicolaPorro, quello di “Una storia Operaia” e del libro sull’America. Compiaciuto, confermo. Lei e il suo compagno, a mia insaputa lettori giornalieri del mio Blog, mi chiedono perché partecipi a questa marcia. “Perché ho un caro amico, il professor DarioFontana di Torino un celebre urologo che si occupa anche degli interventi chirurgici di “cambio di sesso” nei soggetti transessuali (oggi si dice più correttamente Disforia di Genere) e quando parla di questa attività è talmente travolgente da avermi trasferito il suo entusiasmo verso un mondo di grandi sofferenze fisiche e psicologiche, che non puoi non amare”.
Poche battute e scopro che con i due giovani siamo sulla stessa lunghezza d’onda di pensiero, malgrado i sessant’anni di età che ci separano. Allora estraggo dal portafoglio un cartoncino ove ho riportato un frammento di JackKerouac, finalmente considerato uno dei più grandi scrittori americani del XX secolo, inventore e padre del “movimento beat” (per il cattolico Kerouac “beat” era l’equivalente di “beato”). Il frammento è questo: “… ci sarà una generazione di giovani che svegliandosi dal torpore in cui sono stati intrappolati dal Potere, rovisteranno nelle soffitte dei loro genitori, troveranno uno zaino e un sacco a pelo, e andranno “lungo la strada” a riprendere il cammino interrotto.”
Ragazzi vi riconoscete in questo vecchio frammento, chiedo? Mi rispondono sì, perché lo conoscevano. Mi commuovo.
Siamo arrivati al fondo di via Po, all’angolo di piazza Castello, qua c’è casa mia, ci stringiamo la mano e faccio loro una promessa: “Grazie del passaggio, ci scriverò un Cameo”. Sono certo che loro due riprenderanno il viaggio, come promesso.