Ormai è diventato uno standard dell’Occidente: qualsiasi elezione si svolga si trasforma in un dramma per chi è al potere. Identica la sceneggiata: prima l’endorsement (senza capire che è il bacio della morte); poi, dopo la sconfitta, il rammarico espresso da lorsignori, terrorizzati che ora tocchi a loro. Persino un banale referendum, dai confusi quesiti su temi altamente tecnico-istituzionali, è stato trasformato dai cittadini in una (inattesa) lettera di licenziamento per Matteo Renzi. E dire che, appena sei mesi prima, proprio lui aveva voluto trasformarlo in un’investitura popolare per diventare l’Uomo del destino, almeno fino al 2022 (così disse). Aveva pure anticipato che in caso di bocciatura avrebbe lasciato la vita politica (ora abbiamo capito che mentiva, sapendo di mentire).
L’aspetto più sconvolgente, non solo per lui ma per tutti i cittadini, sia che abbiano votato Sì sia che abbiano votato No, sono stati i risultati. Chi avrebbe mai potuto immaginare che solo i cittadini dai 55 anni in su avrebbero scelto il Sì di un soffio (53% vs 47%), mentre fra i 35-54 anni il No è prevalso (67% vs 33%) per dilagare fra i 18-34 anni (81% vs 19%)? I più insultati dall’establishment sono stati i giovani: «stronzi», l’epiteto più elegante.
Il fatto che Renzi abbia personalizzato il referendum costituzionale è stato un suicidio per lui e per il Pd, ma è stata una benedizione per noi studiosi dei comportamenti organizzativi delle leadership. Abbiamo potuto farci un’idea definitiva su di lui e sulle dinamiche alla base della sua personalità: ora lo sappiamo, non c’è nessun collegamento fra ciò che dice e ciò che fa, il senso del limite in lui è bloccato dalla sua infinita ambizione, spesso fuori luogo.
In un suo recente libro (Neuromanagement) un docente svizzero, Gian Carlo Cocco, sostiene come le neuroscienze possano aiutarci a comprendere e ad agire al meglio nell’attuale imprevedibile mondo globalizzato. Viene dimostrato come gli operatori economici non siano identificabili solo con la figura dell’Homo oeconomicus, in grado di massimizzare il profitto. Tutti coloro che operano nell’economia, dai semplici venditori-compratori fino agli imprenditori e ai governanti, secondo lo studioso svizzero sono molto più influenzati dalle loro credenze (spesso errate) che da fatti oggettivi. Purtroppo, dice Cocco, la grande varietà e pericolosità dei limiti mentali umani, individuali e collettivi, finora non sono state prese in considerazione, e quindi non contrastate in modo significativo. Analizzando con spietatezza il mondo economico-finanziario, questo appare dominato dai cosiddetti processi di inganno e dai correlati processi di autoinganno, che si originano dalle innumerevoli «trappole mentali», presenti nelle nostre teste. Sono dei meccanismi spesso non conosciuti, comunque sottovalutati. Alle «trappole mentali» (dai limiti non solo cognitivi, spesso emotivi, percettivi) si aggiungono gli autoinganni, cioè un processo mentale (subintenzionale) che cerca di eliminare il dispiacere, attraverso una forma di illusione consolatoria e falsamente ottimistica.
Mi pare che questa teoria sia perfettamente applicabile alla politica italiana. Per esempio, è adattabile all’analisi della strategia, appena abbozzata, da Luca Lotti, uno dei quattro «uomini neri» (con Carrai, Serra e Marchionne) di Matteo Renzi, come li definiscono alcuni analisti. Questa strategia, sintetizzata in un tweet, per rimettere in sella uno sconfitto Renzi, punta su un’assunzione: il 40% dei Sì sono voti di «proprietà personale» di Renzi. Quindi, occorre andare subito alle elezioni, con qualsiasi legge elettorale, finché essi sono «caldi» (giusto, le caldarroste fredde sono immangiabili). Con questa strategia si vince alla grande, trasformando una cocente sconfitta in una luminosa vittoria: è una certezza. Una «trappola mentale»? Il pericolo di un autoinganno? La verità la scopriranno da soli.
Un fatto è certo: il passato è stato resettato, la palla è tornata al popolo. Sono certo che esso sarà saggio, come al solito.
Riccardo Ruggeri