Quattro società di consulenza si spartiscono il mercato mondiale della revisione, sono le famose Big Four (KPMG, Pricewaterhouse, Deloitte, Ey, già Ernest & Young). Ey ogni due anni interpella un campione di 52.000 persone di 32 Paesi. Ne escono quantità industriali di dati, a me interessano in particolare due tabelle, una riporta l’aumento netto degli sfiduciati verso le banche, l’altra quanti credono nel proprio istituto bancario. Interessante analizzare, prima i dati in assoluto, poi facendo un confronto Italia-Svizzera. Due paesi confinanti, però agli antipodi come cultura bancaria, eppure identici, in termini di rapporto con il denaro. Il dato italiano mi pare scontato, anche se deve farci riflettere: abbiamo sempre meno fiducia nel sistema bancario (aumento netto degli sfiduciati 47%) e appena il 24% crede nella propria banca, a fronte degli svizzeri al 57%. Ho la sensazione che i danni prodotti dal caso Banca Etruria, irrilevante in termini numerici, abbiano avuto un impatto devastante per l’opinione pubblica nel loro rapporto con le istituzioni, e forti riverberi sul Governo Renzi. Alcuni analisti (sono tra questi) sostengono che lì abbia avuto inizio la fine del trasporto di amorosi sensi verso di lui. In realtà il governo Renzi centrava poco o nulla con Banca Etruria, se non per una parentela imbarazzante nell’ambito del suo cerchio magico (in realtà quattro gatti, più arroganti che loschi). Eppure per l’opinione pubblica uno scandalo persino superiore a quello ben più grave del Monte dei Paschi, dove sono stati coinvolti, in successione, il primo partito italiano, le istituzioni, il milieu vecchio e nuovo di Banca d’Italia, Consob, supermanager bancari, etc. insomma quello che per noi cittadini è oggi il peggio del mondo della finanza. Il dato per me più inquietante dello studio Ey è però l’aumento netto degli svizzeri sfiduciati (19%) verso le banche, intese come sistema. Interessante analizzare proprio il dato svizzero. All’83% raccomanderebbero ad altri il proprio istituto, seppure in modo declinante, si fidano della loro banca: a) in termini di sicurezza del loro denaro, 58% contro una media mondiale del 48%; b) per la tutela dei dati personali, 53% vs. 43%; c) per la protezione da transazioni fraudolente, 48% vs. 41%; d) per la trasparenza dei costi, 47% vs. 32%. Però, e qui sta il dato sconvolgente del report, si fidano sempre meno delle banche come istituzioni. Il dato incontrovertibile è che a livello globale, nei 32 Paesi presi in esame, è in forte aumento il numero dei clienti che considerano non sicuri (sic!), sia i loro quattrini, sia i loro dati personali. Un risultato terribile per un mondo dove la finanza è tutto, e improvvisamente gli utenti si accorgono come essa sia passata da garanzia a minaccia.
Verso il rapporto cittadino-politica-banche ho un grande interesse, come ovvio di tipo culturale, in quanto considero uno dei punti fermi per dirsi liberale, il rapporto di ciascuno di noi con il denaro. Dagli anni ’90 (Amato, Ciampi, e soci) questo rapporto si è deteriorato, diventando inaccettabile dopo il 2008. Un mio campione di persone, che hanno fiducia nella mia presunta saggezza (lo dicono loro, immagino per l’età e il totale disinteresse col quale rispondo alle loro domande) e mi raccontano i fatti loro su come trattano il denaro, mi ha portato a questa conclusione: per una certa fascia di nostri concittadini, meglio diventare banchieri di se stessi, meglio cioè il materasso (loro) che la banca (di lorsignori). Eppure intorno a loro c’è uno sfarfallio di “app” evolute, queste stanno mandando in pensione il vecchio borsellino in pelle bovina, sostituendolo con il vegano smartphone. I più colti di noi enfatizzano questo grande balzo culturale, pensate, ci dicono orgogliosi, siamo ormai in grado di pagare con lo smartphone (a zero commissioni!) persino il miserabile euro del caffè. Eppure, qualcosa si è spezzato nel rapporto cittadini-istituzioni, mai avrei immaginato che arrivassimo al punto di considerare il materasso come evoluzione di un sistema bancario marcio. Che piaccia o meno questa è la direzione verso la quale ci porta il report di Ey.
Riccardo Ruggeri