Chissà se la inopinata vittoria di Donald Trump darà un duro colpo, non solo al Pdn (Partito della nazione) americano dem-rep, ma anche al modello praticato, in modo mascherato, in tutta Europa, Italia compresa. Matteo Renzi l’aveva intuito, qualche tempo fa aveva utilizzato il concetto come insulto rivolto a tutti i partiti del No (M5s, Lega, destra, sinistra) che, secondo lui, fornicano fra loro per costruire un «Partito della nazione dei populisti» (ridicolo, ma suggestivo).
Passa qualche tempo, Silvio Berlusconi subisce il richiamo della foresta di Matteo Salvini, licenzia via etere Stefano Parisi, e tradisce per sempre (?) il patto del Nazareno. Vero, falso, fuffa elettorale? Quando c’è di mezzo il Cav, tutto è possibile. Oltre una certa età, la menzogna e il ridicolo sono lì, dietro l’angolo.
Dei tanti Renzi che il premier Houdini ogni tanto estrae dalla manica del suo frac d’ordinanza, io preferisco quello iniziale, il politico nature, che avevo affettuosamente battezzato «furb da pais», quello che non ha in berta un piano B per rimanere al potere. Mi aveva colpito, era l’uomo nuovo, voleva tutto o niente, «se cado, esco dalla politica», detto, ripetuto, e io gli ho creduto. È uno che mai farebbe la riserva della Repubblica, alla Enrico Letta in esilio volontario a Parigi (pensa te). Lui è come Gonzalo Higuain, non accetta la panchina; se ci finisce, ingrassa, intristisce.
Certo, un motivo deve esserci, se non ha accettato le proposte di Berlusconi, ammesso che fossero vere, di ricostruire, in cambio del Sì, un simulacro di Partito della nazione. Sappiamo tutti che questi, accoppiato a sistemi elettorali maggioritari, è da vent’anni il piano B, spesso il piano A, delle classi dominanti occidentali. Angelo Codevilla ne scriveva oltre un decennio fa (Ruling Class), la recente foto baci e abbracci dem-rep delle tre famiglie reali americane (Clinton, Bush, Obama), unite nell’odio anti Trump, ne è stata la dimostrazione plastica. La destra germanica lo usa da sempre come ammortizzatore politico per spartirsi il potere con i socialisti. Blair ne fu l’interprete più geniale, il Pdn se lo cucì addosso, operava da Thatcher, atteggiandosi da Blair.
Le élite giacobine francesi, terrorizzate da Marine Le Pen, appena in difficoltà si rifugiano nel Partito della nazione, nel Sarkò di turno (il colpo Juppé è fallito, tenteranno con Macron).
A Bruxelles, il Partito della nazione è la pietra nera sulla quale brindano ogni giorno Jean-Claude Juncker e Martin Schulz, sotto lo sguardo occhiuto di Angela Merkel.
Ci si può arrivare da destra (Merkel), inglobando la sinistra, o da sinistra (Renzi), inglobando la destra, ma il risultato non cambia, stessa la politica economica, stessa la sudditanza verso la finanza internazionale e verso le grandi piattaforme digitali. Certo, una controindicazione c’è: i cittadini si sono fatti furbi, molti di loro hanno capito il giochetto, per cui, seguendo l’immenso Totò barista, la somma dei voti del Partito della nazione sarà sempre inferiore al totale.
Chi avrà mai preparato a Renzi lo sciagurato discorso di piazza del Popolo? Un markettaro di beni di largo consumo o un Jim Messina qualsiasi? Il Partito della nazione è una filosofia politica post morotea da maneggiare con cura, difensiva ma elitaria, ma è pure uno stile di vita, da praticare, ma non da dichiarare, pena la caduta dell’incantesimo (e dei voti).
Caro Renzi, un suggerimento, gratis. Si tranquillizzi, la maggioranza silenziosa dei cittadini (uso questo termine desueto, perché, avvicinandoci al voto, noi che ne facciamo parte di diritto diventiamo orgogliosi del nostro potere di scelta, il nostro voto conta e pesa eccome!) non è interessata a deporla perché ha scritto una legge ridicola, ancora prima che brutta. Sappiamo tutti che è un prezzo che ha dovuto pagare al presidente Napolitano, cioè a colui che l’autorizzò a sottrarre la campanella a Letta. Ripeto, viva sereno queste ultimi giorni , si rilassi. Lei cadrà solo se non risolverà tre problemi: debito, migranti, lavoro. Auguri a lei, a quelli che voteranno per lei o contro di lei.
Riccardo Ruggeri