E’ un periodo in cui passo le giornate a leggere, a riflettere, a mettermi ogni x ore alcune gocce di colliri vari, per curare un occhio da poco operato, ad attendere che il sole scenda oltre la Rocca, e che Lilli, tornata bambina, si addormenti.
Finalmente è buio, la luna e le stelle sono in ritardo, il silenzio è definitivo, ora posso scrivere, con i ritmi e il linguaggio del gonzo journalism che da tanti anni mi fa compagnia.
E’ un periodo in cui sono affascinato dalle storie dei primi anni del Novecento. Quelli in cui nacquero mio papà Carlo (1906, anno di fondazione del Toro, nato in Francia, accanto a una fonderia, da migrante, figlio di migranti) e mia mamma Brunilde (1909, con questo nome non poteva che essere bellissima, lunghi capelli corvini che scendevano fino al fondo della schiena, fiera, coraggiosa, come sa esserlo solo un’anarchica carrarina. I capelli non li tagliò mai, perché mai cambiò idea! Fu sempre povera, sempre dalla parte giusta, operaia Fiat, antifascista, anticomunista, antigiolittiana. Però sempre sorridente.
E’ curioso che sia stato uno snob aristocratico come Thomas Stearns Eliot, conservatore, monarchico, antisemita dichiarato, figlio di una famiglia di alto nome e altissime relazioni, dall’imbarazzante alterigia intellettuale. Eliot della cultura aveva una concezione elitaria e gerarchica. Sosteneva: “La cultura si trasferisce per via familiare e non tramite le istituzioni scolastiche …”. Però fu lui a dare la definizione più efficace del suo tempo: “Questo nostro mondo è un immenso panorama di futilità e di anarchia”.
Poiché nulla è cambiato in un secolo, sarà questo il mondo che lascerò ai miei figli e nipoti. Un mondo che digeriti il nazismo, il fascismo, il comunismo, il CEO capitalism, è rimasto futile e anarchico. Concepito e governato con nonchalance dalle solite losche élite finto colte.
Quello che ci portò alla Prima Guerra Mondiale, quello di Virginia Wolf dei primi anni Dieci quando intuì che “la natura umana sta cambiando”. Che proseguì prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi nei settant’anni di finta pace europea (le guerre coloniali per esportare la democrazia sulla punta delle baionette furono appaltate all’America) e ora siamo ancora qua a puntellare ciò che resta dei nostri decadenti Imperi, fusisi nell’Impero americano.
E siamo ancora qua alla disperata ricerca di un “nuovo ordine mondiale”. Ci rendiamo conto dell’orrenda locuzione scelta per dire futuro? Continuiamo a marciare verso un mondo rosso-nero? Al potere ci sono sempre loro, quelli dell’Ottantanove e del Sessantotto, con intatto il loro disprezzo verso la Plebe, il basket of deplorables dei dem americani.
L’immagine di un mondo ormai rosso-nero mi è venuta leggendo lo splendido libro Il sangue e l’inchiostro di Fausto Ciompi (Carocci editore, 329 pagine, 29 €), professore di letteratura inglese all’Università di Pisa con cui ho percorso la parabola esistenziale del poeta, saggista e autore teatrale T. S. Eliot.
Il titolo, bellissimo, è tratto da un suo verso: il poeta deve tramutare il sangue (la vita) in inchiostro (l’arte). Il rosso e il nero! Che tristezza scrivere del presente, del “rosso e nero”, pur sapendo che mischiandoli nasce il marrone, un miserabile, volgare non colore, tipico di quest’epoca.
Meglio tornare nel protettivo lockdown volontario e riflettere sull’eternità, come Eliot alla fine fece. Oltretutto l’eternità è lì, a portata di mano. E pure gratis!