C’è molta “elettricità” nel mondo americano dell’auto. Che si stia avvicinando la fine del lungo ciclo espansivo della domanda e la preoccupazione monti? Lo capiremo presto.
Bill Ford, leader capace e azionista equilibrato, malgrado il peso del nome che porta, ha licenziato (fired rende meglio l’atto) il ceo di Ford Motor Co. Mark Field. Il taglio di 20.000 posti di lavoro e 3 miliardi di risparmi sui costi non l’ha salvato (forse troppo tardi, forse troppo poco, chissà); da quando era arrivato (2014) il titolo aveva perso il 40%. E poi, ciliegina sulla torta, gli spocchiosi fordisti non potevano accettare che la capitalizzazione di borsa di Ford fosse stata superata da quella della Tesla di Elon Musk.
Apro una parentesi per far capire chi è costui. Musk è un genio della comunicazione-markettara-globalizzata. Nel 2006 lancia uno dei suoi tanti “manifesti”: “Come velocizzare il passaggio da un’economia fondata sugli idrocarburi a una a energia solare”. Poi ne lancia altri: “I viaggi su Marte”, “I trasporti di massa iperveloci”, recentemente ha toccato il top: la creazione di Neuralink, per l’inserimento nel nostro cervello di chip atti a facilitare la “telepatia consensuale”. Questi permetterebbero agli “abbonati” di scambiarsi pensieri e immagini rendendo obsoleto il linguaggio. Solo quando ho letto questa notizia su Slate Magazine (Washington Post) che rimandava al Wall Street Journal e al sito Wait But Why l’ho ripreso: lo confesso credevo fosse uno scherzo. Si tratta di operare persone sane per scopi non medici, sollevando, mi pare, temi etici e legali non banali. Ma la genialità ipermarkettara di Musk consiste proprio nel definire, per ogni suo progetto, una visione di lungo periodo (donchisciottesca, eccentrica), e una di breve, concreta, raggiungibile (per la quale prendere pure finanziamenti statali). Tesla era nata per liberare il mondo dai fossili, nel frattempo ha fatto una elegante auto elettrica per un mercato di nicchia californiano (manager di Silicon Valley e pop star di Hollywood), una banalità, ma gli investitori hanno creduto alla vision di lungo periodo, e fatto salire il titolo a un valore superiore a quello di Ford (immagino i brividi del vecchio Henry, sepolto nel cimitero di Detroit che porta il suo nome). Chiusa parentesi.
Bill Ford ha sostituito Field (56 anni) con Jim Hackett (62), suo amico personale, presidente di Ford Smart Mobility, che lui considera un visionario (sarei cauto a usare questo termine: la differenza fra visionario e cacciaballe è spesso impercettibile). Oggi lo scenario dell’auto lo potremmo schematizzare così, assumendo di privilegiare lo “stile di vita” alla “vita vera”:
1 La propulsione per ora ancora vincente è quella ibrida, messa a punto una quindicina di anni fa da Toyota e da lei dominata. Il politicamente corretto dice che si “deve” privilegiare l’elettrico, tecnicamente è però ancora troppo languido, perciò tutti i costruttori tengono in salotto un trofeo di auto elettrica, ma tutti sanno che non avrà alcuna implicazione ecologica fino a quando la spina di ricarica non troverà dall’altra parte del muro energie rinnovabili e non, come succede oggi, e chissà per quanto tempo ancora, energia prodotta con il fossile. Pochi osano dirlo ma siamo al gioco delle tre carte.
2 Il cliente 2.0 vuole che l’auto sia piena di gadget digitali, e così sia.
3 Il politicamente corretto dice che le auto non devono avere guidatori ma solo passeggeri, quindi deve essere in grado di avere un algoritmo che ne faccia le veci, e così sia.
4 Nel frattempo i giovani al di sotto dei trent’anni, i potenziali clienti di domani, sono poco interessati all’auto (caduta verticale delle patenti di guida).
Se lo scenario è questo, specie in Europa, e immagino che i giovani si stiano rendendo conto che saranno pure stati programmati per pensare da ricchi ma nella realtà saranno costretti a vivere da poveri, dovranno vedere l’auto come oggetto non certo di proprietà (non ne avrebbero neppure le possibilità) ma condiviso e da usare a consumo. Mi pare di tornare alla mia adolescenza povera, datata anni Cinquanta, quando il sogno era la bicicletta di proprietà (marca Edoardo Bianchi) per il corto raggio e l’autobus Lazzi per il medio lungo.