Il primo segnale debole che indica possibili le elezioni a settembre (sarebbe una sconcezza, poi spiego perché) l’ho avuto a casa mia. Certo, è poco significativo in termini numerici, siamo appena sei, tre donne, tre uomini fra i 45 e gli 80 anni. La libertà di pensiero e di scelta fra noi è talmente forte che mai nessuno si è permesso di chiedere agli altri per chi avrebbe votato, figuriamoci suggerire per chi votare. A volte, a distanza di anni si viene a sapere, casualmente, che avevamo votato a favore del divorzio e pare contro l’aborto. Sui referendum è più facile, la nostra base culturale è, strutturalmente, al di là del quesito, il No (Dna anarchico), con noi il Si ha di norma una strada tutta in salita.
Curioso questo “spogliarello” anticipato: una di noi ha detto, disgustata, che non avrebbe votato per Silvio Berlusconi. La scivolata sul partito animalista l’ha giudicata politicamente volgare, marketing di bassa lega, alla Aiazzone per intenderci (ricordate la prima locuzione della tv commerciale “Provare per credere”?). Povero Cav, è finito, non avrà nessuno dei nostri sei voti.
Diverso il mio caso, da quando scrivo sui giornali, non dichiaro per chi voto (anche perché fino all’ultimo non lo so), per un’ovvia forma di rispetto verso i lettori del Cameo. Certo, dalle mie prese di posizione su certi temi dirimenti si può capire, non per chi voto, ma chi non voto. Faccio un esempio, che entra nel novero dei temi alti, ad elevato spessore etico che mi costringe a esprimermi pubblicamente, quindi scoprire le carte.
Per manifesta incompetenza, fin dalla crisi del 2008 ho abbandonato sia le leadership di centro destra sia quelle di centro sinistra, i cinquestelle chissà perché si sono fissati sulla mia bestia nera (il reddito di cittadinanza) quindi sono out, invece mi sono sentito vicino, umanamente e culturalmente, a quel 40% di italiani che i sondaggisti presentano come materiale di risulta (in realtà, lì c’è il meglio del paese) e che suddividono in “non votanti”, “schede bianche”, “indecisi”. Questa è diventata la mia area di riferimento, perché esente da ogni ideologia, cittadini che giudicano non in base alle chiacchiere ma sull’execution. Questa area culturale, che contiene spicchi di tutte le altre, la studio da anni, la giudico strategica in un contesto da guerra civile strisciante come l’attuale, perché, a seconda che vada o non vada a votare, e chi scelga, determina il risultato delle elezioni. Quello che è successo per Brexit e per Trump: se cambia il mix dei votanti i risultati escono dagli schemi, la democrazia liberale ne beneficia.
Questa legislatura è stata dominata, per l’intero quinquennio, da un solo partito, il Pd, con due presidenti della repubblica e tre premier. Questi, per cinque anni hanno fatto, come giusto, il bello e il cattivo tempo, perciò devono essere giudicati: promossi o bocciati. Però questo governo deve chiudere il cerchio, fare in ottobre la legge di stabilità; che debba essere di “lacrime e sangue” solo perché per mille giorni era prevalsa la politica dei bonus elettorali, è problema suo. Se per viltà politica tentasse di andare prima alle elezioni per sottrarsi alle sue responsabilità si certificherebbe come governo e come un partito miserabile, indegno di governare. Inaccettabile essere feroci verso i predecessori che, dici, ti hanno lasciato solo problemi e poi quando vai al potere, governando a tuo piacimento per un quinquennio, non ti assumi le ovvie responsabilità di chiudere il cerchio. Non è ammesso, punto.
Per ora, il mio è un semplice processo alle intenzioni, se Paolo Gentiloni e il Pd, prima fanno la legge di stabilità, poi ci portano al voto, ritiro tutto.