Venticinque anni fa l’establishment svizzero indisse un referendum per l’adesione allo SEE (Spazio economico europeo). Tutti i partiti di centro e di sinistra al governo nei Cantoni e a Berna, i media, gli accademici, gli intellettuali, le élite di ogni ordine e grado, erano schierati per il Si, ma si guardarono bene dal dire che era un referendum trappola perché mascherato da tecnico. Per tre motivi: a) era travestito da accordo commerciale, in realtà comportava implicazioni istituzionali tra i quali il recepimento del diritto comunitario potenzialmente penalizzante per il paese; b) era in realtà un’anticamera (mascherata) per l’ingresso in Europa con tutte le rinunce istituzionali e relativi costi che avrebbe comportato; c) già allora era evidente la modestia del disegno europeo, iniquo e burocratico. Si percepiva invece il disegno della globalizzazione, non solo quella commerciale (sacrosanta) ma quella di superare le dimensioni nazionali creando strutture sovranazionali con al vertice una classe dominante non eletta ma nominata. Le élite svizzere di allora si identificavano forse con i “grembiulini” europei? Questo fu il sospetto del popolo silente.
Il battage pubblicitario da parte dei favorevoli che possedevano tv, radio, giornali fu impressionante. In nome del “popolo bue” si oppose solo l’UDC, il piccolo (allora al 12%) partito di matrice agraria, di centro destra del magnate ChristophBlocher che sosteneva il No, propugnando una alternativa, quella dei “Bilaterali”, accordi economici su base appunto bilaterale.
Il 6 dicembre 1992 fu per la Svizzera una specie di resa dei conti, una guerra civile ove in luogo delle alabarde c’erano solo schede elettorali, alle fake news istituzionali si oppose la demagogia blocheriana. Uno scontro mortale, incomprensibile per i non svizzeri. Il referendum, essendo costituzionale, richiedeva la doppia maggioranza del popolo e dei Cantoni, ciò rendeva le élite sicure del risultato finale, giocando anche sulla non partecipazione al voto delle fasce più basse della popolazione, stante la palese tecnicalità del quesito.
Lo schiaffo fu micidiale, andò al voto l’80% degli svizzeri (un record), il No vinse per una manciata di voti, 23.800 su 3,5 milioni di votanti ma 18 su 26 Cantoni dichiararono pollice verso la “furbata elitaria”. Il popolo svizzero capì che lo spazio economico europeo semplicemente non era il loro spazio, uno spazio di libertà.
La Svizzera non fu più la stessa, i partiti di sistema fino allora dominanti con poco meno del 50%, sono ora al 28%, le sinistre sono ferme, l’UDC è ormai il primo partito con il 30%, pur non governando, stante il modello elettorale proporzionale, ma è il padrone dell’agenda politica. Il centro sinistra governa ma perde tutti i referendum importanti e vede erodere la sua maggioranza a ogni votazione (modello Germania). Siamo in una democrazia liberale in purezza, che evolve elezione dopo elezione, referendum popolare dopo referendum.
La Svizzera, ovviamente senza dirlo, si è ben guardata dall’adottare il ceocapitalism, rimane ancorata al capitalismo classico, al pieno impiego, ad alte retribuzioni, ad un elevato salario minimo, a una immigrazione economica rigidamente regolamentata, a uno stato leggero, a un sistema pensionistico a tre gambe, a un rapporto cittadini-fisco basato sulla reciproca fiducia. C’è un indice (Gini) che misura il grado di diseguaglianza fra i cittadini, questo va da 0 (completa uguaglianza) a 1 (totale diseguaglianza), ebbene, la “ricca ed egoista” Svizzera ha un basso tasso di diseguaglianza (0,297). Una recente ricerca condotta da sociologi delle Università di Oxford e di Losanna ha stabilito che, a differenza dei paesi che hanno adottato il ceo capitalim, la classe media in Svizzera non solo non arretra ma cresce, creando impieghi nelle professioni ben remunerate.
Grazie al suo modello politico-economico legato al capitalismo liberale classico, la Svizzera è prima in tutte le classifiche socio economiche, dalla ricchezza all’innovazione, all’istruzione, alla beneficienza. Se fosse entrata in Europa, sarebbe oggi un Belgio qualsiasi.
La Svizzera ha dimostrato una teoria minoritaria alla quale credo fermamente: lo sguardo lungo (o se preferite la visione strategica) dei cittadini, del popolo, quando si esprime in un referendum con una elevata partecipazione, è sempre vincente, rispetto alla visione colta, ma convenzionale delle élite conservatrici perchè finto riformiste.