Lo sfacelo susseguente alla sconfitta di Kabul ha avuto almeno un aspetto positivo. L’élite europea, al potere da trent’anni grazie al CEO capitalism, dovrebbe aver aperto gli occhi e capito che il nostro modello non è esportabile, in primis nei paesi islamici, tutti dominati dalla sharia. Il tanto criticato/esaltato Gino Strada l’aveva perfettamente capito: sei accettato se ti limiti ad esportare, gratis, competenze medico-farmaceutiche, non certo la “democrazia”. Men che meno il tuo stile di vita. Nell’Afghanistan dei taleban per un occidentale l’unico passaporto ammesso per circolare ovunque è infatti il badge plastificato di Emergency.
Siamo stati vent’anni in Afghanistan in nome del nation building di Barack Obama (era una colossale balla, come ha ora spiegato il suo compagno di merende Joe Biden), gli americani hanno speso oltre 1.000 miliardi $, non so quanto la NATO e i singoli paesi europei, molti i morti consuntivati. Li abbiamo dotati di un esercito di 300.000 uomini, addestrati per anni, eppure appena si è trattato di combattere contro i taleban, si sono squagliati, usando la vendita delle (nostre) armi come salvacondotto. Il film “Tutti a casa” in salsa afgana!
La spiegazione è nota: ci siamo schierati non con il popolo afgano, ma con le classi privilegiate borghesi, profondamente corrotte, che campano vessando i poveri e questi, al momento della scelta, hanno preferito i taleban (pur essendo degli esaltati della sharia, dicono, “almeno sono onesti”) che hanno sempre contrastato gli invasori stranieri, inglesi e russi prima, e ora americani-europei. (parola di Asad Ahmed Durrani, ex capo dei Servizi Segreti pakistani, maggiore esperto del mondo afgano-talebano).
Gli afgani sono 38 milioni e, salvo qualche centinaia di migliaia occidentalizzati, non si riconoscono nel nostro modello. Per esempio, i tagiki del nord lotteranno contro i taleban per la libertà delle loro tribù (presto troveranno un compromesso, sono pur sempre musulmani) non certo per lo stile di vita occidentale, con tutti i suoi estremismi in termini di diritti umani. Personalmente mi sfugge che diritto umano sia quello di distruggere la statua di Cristoforo Colombo o i miti della musica classica o la Divina Commedia, mi sembra pura inutilità culturale salottiera.
Così ci siamo ridotti a negoziare con i taleban la fuga dei nostri soldati e dei loro attendenti afgani. Vediamo un pugno di soldati americani ultra tecnologici asserragliati in un aeroporto che predispongono nursery e fanno i check-in. Umanamente molto bello, ma ci rendiamo conto dell’abisso politico-morale nel quale siamo precipitati?
D’altra parte in un mondo dove, da sempre, tutti sono in guerra con tutti, noi abbiamo, nobilmente, rifiutato la guerra, abbiamo messo questo alto principio in Costituzione, ci vantiamo della pace settantennale. Peccato che fingiamo di non sapere che le guerre ci sono state, ci sono, e sono stati, sono gli americani a combatterle, e a morire, per nostro conto. E la nostra arroganza è arrivata al punto da non voler neppure pagare le spese vive della NATO. La pseudo statista Angela Merkel ha investito questi quattrini per potenziare la “sua” industria dell’auto e farsi il gasdotto privato con il “suo” amico Vladimir Putin. Dopo Kabul il popolo americano (65%) ha detto basta: armati fino ai denti sì, ma per difendere i nostri confini. Le cuscute europee si arrangino. Prendiamone atto.
Le prossime mosse americane saranno prese sulla base del loro dna isolazionista, si disimpegneranno dal loro vecchio ruolo di gendarme dell’Occidente. Abbandoneranno prima Taiwan e poi Israele. Così la profezia letteraria di Michel Houellebecq si avvererà. Siamo già entrati nella cupezza digitale del modello cino-californiano.
Penso sia giunto il momento per noi europei di decidere: scegliere fra il modello svizzero (mai guerra, un esercito dei cittadini solo per la difesa dei confini) o avere un esercito europeo con i fiocchi e i controfiocchi, con missili e atomiche al seguito, con soldati di leva pronti a morire indossando i mitici boots on the ground. Lo scrivo per dovere professionale, ma non credo al secondo corno del dilemma. Siamo maggiordomi, destinati in un paio di generazioni, a diventare un popolo di servi.