Curiosamente, c’è vivacità nel mondo dell’editoria quotidiana, malgrado il numero delle copie vendute sia in caduta libera. Ci sono sempre più sussurri che un grande gruppo editoriale sia in vendita, nelle redazioni si percepisce un’aria di rivoluzione-smobilitazione. Al contempo, due editori acquistano testate come fossero figurine Panini, cambiano direttori, si inventano nuovi profili professionali: il giornalista doble face, di giorno in redazione scrive, di sera impazza sul piccolo schermo, ovvero il politico double face, in parlamento scrive, in redazione fa politica.
L’editoria quotidiana è in guerra per rubarsi infinitesime quote di un mercato declinante. Pare che la strategia di aumentare le pagine non freni la perdita di copie. Nessuno si chiede: “Perché chi ha meno di sessant’anni non legge più un quotidiano?” Novità? Nessuna, salvo l’evoluzione della vecchia nicchia radical chic in una modalità woke, un giornalismo cartaceo (e video) tutto odio e paillettes.
Cinque anni fa, descrissi il mercato dell’editoria quotidiana come una battaglia navale dominata da due corazzate, un certo numero di incrociatori di varie stazze, nessun sommergibile. Ora di corazzate ne è rimasta una, molti incrociatori vengono via via declassati, altri sono sempre più spesso in cantiere.
Nel 2019, con alcuni amici avemmo l’idea (puro divertissement il nostro) di partecipare anche noi a questa battaglia navale. Decidemmo di costruire, un mini-sommergibile artigianale, al quale demmo il nome di una pianta perenne pregiata, Zafferano. Era un giardino di novità e di innovazioni, strutturato come una Process Company, ogni rubrica aveva un solo giornalista, il process owner e zero gerarchie. Oggi abbiamo 18.500 abbonati, il 25% dei quali ha fra 18 e 28 anni. Banale l’assunzione di allora: se le informazioni sono fruibili gratuitamente la sera prima, non potevano che essere gratuiti anche le riflessioni e i commenti della mattina dopo. In corsivo, un paio di frasi tratte dal nostro numero zero:
Zafferano nasce nel pieno di una delle tante mini crisi dell’editoria, della carta stampata, dei tentativi digitali per farla ancora vivere. Ognuno di noi che scrive (e scriverà) su Zafferano non è unito da nessuna ideologia, siamo la somma di tante individualità, uomini liberi che stanno bene insieme, in libertà. Com’è d’uso ormai solo più fra i cittadini perbene della maggioranza silenziosa del Paese. Abbiamo, semplicemente, sposato un’idea. E scriviamo avendo il privilegio di non farlo per vivere, ma perché vogliamo essere letti. Non essendo dei professionisti del settore, trasformiamo la nostra “competenza di lettori” in una “competenza dell’execution giornalistica”. Siamo artigiani del pensare e dello scrivere, null’altro.
A Zafferano il lettore si abbona, ma l’abbonamento è gratuito, rifiutiamo la pubblicità per essere liberi, a maggior ragione rifiutiamo contributi statali o liberalità di privati. L’investimento sulla piattaforma se l’accolla l’editore (cioè io) che lo considera una spesa a fondo perduto, quindi un atto di servizio pubblico. Chi lavora a Zafferano campa d’altro, partecipa, felice, ad un esperimento culturale. Per questo Zafferano è concepito come un sommergibile-astronave, ove lettori-giornalisti e lettori sono, al contempo, equipaggio e passeggeri. Con un unico obiettivo: titillare le nuove generazioni a leggere i quotidiani.
Torniamo all’oggi. Come editore sono francamente stupito che nessun collega proceda a: 1 semplificare il modello imponendo che i lavori ripetitivi di redazione, per quanto oggi fattibile, siano dichiaratamente svolti dalle chat-algoritmo, guidate dall’intelligenza di un umano; 2 adottare un modello organizzativo stile “process company” , buttando alle ortiche il costoso ultra gerarchizzato catafalco organizzativo in essere.
L’esperienza sul campo, mi fa pensare che il quotidiano 2030 per tornare ad essere letto da tanti dovrà essere fatto da pochi.