Il problema non è chi vince, è se chi perde accetta la sconfitta

Il problema non è chi vince, è se chi perde (establishment) accetta la sconfitta. Il dilemma è banale: in una repubblica parlamentare non contano i voti ma i seggi. Sergio Mattarella si trasformerà in un Presidente pitagorico, non gli sarà richiesta alcuna analisi politica, dovrà solo saper far di conto. Se la somma dei seggi di Pd e dei suoi satelliti, di Fi e dell’unico suo satellite, di LeU (versante sinistra governativa), dei transfughi simil verdinian-scilipotiani che verranno raccattati ovunque, riuscirà ad avere la maggioranza (sarà probabile?), sia al Senato che alla Camera, allora establishment ed Europa saranno ilari e contenti, fiumi di “bollicine” (termine orrendo) scorreranno, la saggezza del popolo verrà esaltata. Dopo i festeggiamenti, il tema elezioni verrà archiviato. Ne riparleremo nel 2023.

Se i numeri per l’establishment non ci fossero, cioè se M5S, Lega, FdI, depurati di tutti i transfughi possibili, avessero la maggioranza (sarà difficile?) le élite precipiteranno prima nello sconforto poi nella cattiveria più bieca, l’ignoranza del popolo, subito diventato bue, verrà ferocemente stigmatizzata. A questo punto, cosa farà l’establishment? Accetterà la sconfitta? Ovvero si comporterà come nel 2011? Mattarella come Napolitano? Gentiloni come Monti? Merkel come Merkel? E che farà il Bonzo di Francoforte, il personaggio più inquietante di tutti?

Stiamo sereni, sorridiamo, andiamo in pace, tanto è già tutto scritto nel grande libro della vita, al momento giusto lo sapremo. Noi, a differenza di lor signori, non siamo cattivi. Noi siamo elettori, ergo siamo nel giusto. Il problema è loro, non nostro. Prosit, cari lettori.

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