Ecco il nostro cenone a due di questo Natale 2019 in quel di Bordighera, ove vivo una serafica convalescenza. Ho voluto che fosse un cenone, anche se, come vedrete dal menu, il termine è francamente eccessivo. E’ servito però, sia per darci un certo status giovanilista, sia per motivarci positivamente. Ricordo che anche i vecchi hanno tanto bisogno di spinte emozionali per proseguire il loro cammino di vita, via via che la discesa si fa più tortuosa e le forze ti abbandonano. Come avviene, con energie in eccesso, per i giovani nella fase della salita della vita.
Volevo che il cenone fosse “politicamente scorretto” per prenderci una fanciullesca rivincita verso quegli intellettuali e politici di regime che continuano a umiliare mia moglie (82) e me (85) considerandoci due vecchi infami ai quali lo Stato eroga, da troppi anni, una pensione. Lo so che è sgradevole polemizzare proprio all’inizio di un nuovo anno, mi scuso con i lettori, ma non potevo non “togliermi il dente”.
Secondo costoro, proprio a Natale dovremmo vergognarci di sottrarre risorse e futuro ai giovani. Ciò che affermano, dall’alto della loro sterminata cultura economica e della loro miserabile intelligenza sociale, per quanto ci riguarda, è falso, quindi ignobile. La mia pensione è stata solo contributiva, quindi non sottrae nulla a nessuno, mentre con quella di mia moglie (risibile) ci compriamo una puntura del farmaco salvavita per il mio carcinoma. Comunque, stiano tranquilli costoro, da buone formichine noi campiamo con i risparmi di una vita. Però è Natale, dobbiamo essere buoni, quindi anche costoro hanno diritto, come tutti, al perdono natalizio. Volentieri lo impartiamo loro. E per associazione di idee, sorridiamo ricordando la nonna, impettita in mezzo all’aia, che al tramonto invitava le galline a ritirarsi nel pollaio con il magico: Sciò, Sciò.
Il cenone l’abbiamo ordinato a uno dei nostri due ristoranti preferiti, uno di mare (Torrione, Vallecrosia) l’altro di montagna (Italia, Castel Vittorio). La cena l’ha preparata il giovane Samuele dell’Italia, secondo il menu che avevamo deciso noi. Sono andato personalmente a ritirare la cena, gabbando così la multinazionale del caporalato food, che per una volta non ha potuto incassare la sua tangente esentasse. L’abbiamo consumato con tanto di tovaglia di Fiandra, seppur un po’ ingiallita dal tempo, e alla luce di quattro candele decoupage. Le ho però spente all’antipasto. Non potevo mangiare cibi nobili immerso in un’atmosfera kitsch da salotto ZTL.
Ecco il menu: 1 Aperitivo con tocchetti di farinata; 2 Turtun di Castel Vittorio (torta salata di verdure ed erbe selvatiche); 3 Tazza di brodo di gallina; 4 Gallina nata, vissuta, infine bollita a Castel Vittorio, come il bagnetto ligure che l’ha esaltata; 5 Stroscia all’olio, dolce del Cinquecento dedicato a San Gregorio; 6 Un rosso giovane, U Picettu (in italiano Pettirosso) di Durin (Ortovero, Albenga), dai profumi che ricordano quelli della brezza marina e della macchia mediterranea che circonda le viti.
E’ stata una splendida cena, e una grande soddisfazione: l’obiettivo per il quale il menu era stato concepito, è stato raggiunto, e pure alla grande. Non uno straccio di osceno cibo globalizzato è entrato in casa nostra, non un euro ha lasciato la Liguria. Siamo rimasti due vecchi, con un Natale in più, ma non infami, semplicemente felici.
Buon Natale a tutti.
Zafferano.news