Sei mesi fa scoprii di avere un carcinoma alla prostata di grado Gleason alto. Per una decina di giorni sprofondai in una crisi all’apparenza senza sbocchi, continuavo a scrivere i miei Camei (il mio lavoro), mangiavo appena, ero diventato muto, come il servo di Zorro, sempre focalizzato sul carcinoma. Lo pensavo, lo sognavo, mi addormentavo esausto nelle sue spire, mi risvegliavo subito, ero intellettualmente un suo schiavo. Al decimo giorno dissi “Basta!”. Tornai il manager che ero stato, dovevo trovare una soluzione, sciogliere un difficile dilemma.
Sapevo che tutti quelli colpiti dal cancro si affidavano come ovvio ai medici e poi, se credenti, al proprio Dio. Altri, lo consideravano un “nemico” mortale, si affidavano ai medici ma al contempo si trasformavano in “guerrieri”, in certi casi in “eroi”. La letteratura è ricca di pagine indimenticabili di questi eroi-guerrieri anticancro.
Nella mia vita non ho mai considerato nessuno un “avversario” (salvo me stesso) e da un quarto di secolo ho un solo “nemico”: il Ceo capitalism (e, come ovvio, le felpe californiane e i gerarchi cinesi di Xi Jinping che lo guidano). Secondo logiche rigorosamente manageriali, degradai il cancro da “nemico” a “intruso”. Considerandolo “intruso” mi liberavo dell’impegno di essere un guerriero. Misi allora a punto una strategia, terza, coerente con il mio essere:
- Non accettare di farmi curare da celebrità dell’oncologia di New York, Londra, Zurigo, come proposto da alcuni amici internazionali. Scegliere l’Italia, Torino, l’ospedale pubblico delle Molinette. Non avendo diritto al SSN come residente all’estero, mi curo nel “pubblico” a pagamento: ho apprezzato l’equità di trattamento (sono l’ultimo della giornata a passare: non mi fanno sentire in imbarazzo), e l’accoppiata professionalità medica-umanità (solo italiana). La sanità pubblica italiana, almeno al Nord, per esperienza diretta è eccellente, quella privata, italiana e internazionale, l’ho trovata imbarazzante per la ricerca spasmodica di fornirti prestazioni chiaramente inutili al solo scopo di aumentare il loro fatturato.
- Delegare il cancro ai miei due amici professori torinesi in modo totale e assoluto (mai ho digitato “Carcinoma alla prostata Gleason X-Y). Come ex Ceo ho battezzato il cancro una bad company da configurare e liquidare: le modalità non mi interessavano, e salvo eseguire i loro ordini, dai due professori non volevo sapere null’altro.
- In sintesi ai professori Dario Fontana e Umberto Ricardi ho affidato la mia “vita”, mentre lo “stile di vita”, non delegabile per definizione, è rimasto tutto nella mia totale disponibilità. E di questo ne sono, al contempo, felice e geloso.
Ho pubblicato un piccolo libro (il mio amico Angelo Codevilla ha voluto tradurlo in inglese) che si legge d’un fiato (meno di mezz’ora), come fosse (è) il copione di una rappresentazione teatrale, ove racconto il “processo” che mi ha permesso di costruirmi una seconda vita simpaticamente teatrale (in termini psicologici “cancro free”), atta a difendere il mio precedente “stile di vita”. Esperimento per ora riuscito perfettamente: intellettualmente sono rimasto quello di prima. Prosit.
Post Scriptum. Titolo del libro: “Il Cancro è una comunicazione di Dio” (Grantorino Libri ed. italiano-inglese), 10 €. E’ disponibile immediatamente via mail a info@grantorinolibri.it mentre dal 18 Giugno sarà su Amazon sia in cartaceo che in versione Kindle e in librerie selezionate. Giovedì 14 giugno ore 19 lo presenterò alla libreria Luxemburg di Torino.
Non solo i diritti, ma l’intero ricavo netto del libro sarà dato in beneficenza dall’Editore (io) a Bartolomeo & C., organizzazione di volontariato torinese fondata dall’indimenticabile Lia Varesio (“l’angelo dei barboni”) che prende il nome da un clochard molto conosciuto da noi abitanti del centro storico di Torino, trovato, una mattina del 1979, morto di freddo sotto un cumulo di cartoni e di stracci. Come noto, i “barboni” sono tra gli ultimi liberali nature rimasti in Italia.