Come analista, di tutto posso essere accusato, non certo di essere un fan di Matteo Renzi. Eppure, in questi giorni provo un’infinita tenerezza verso le nostre élite, verso Renzi, e pure verso noi dei media, verso gli intellò, verso tutti quelli che con loro vivono in simbiosi. Basta che un tipsy qualsiasi di Bruxelles pronunci per l’ennesima volta la solita frase da cruciverba “Alto debito pubblico, bassa produttività” e le nostre élite, a mò di chirieleison, ripetono per tre volte: “Italia rischio contagio, rischio contagio, rischio contagio”.
Adesso hanno ricevuto l’ordine di liberarsi del “mostro” che loro stessi avevano prima creato, ma non sanno come fare. Penseranno mica che Renzi accetti il licenziamento in cambio di una seppur ricca buonuscita come fosse un manager tipo Carlo Calenda o un politico incipriato tipo Paolo Gentiloni? Suvvia, non scherzate, venderà cara la sua pelle da alligatore.
Matteo Renzi, così come Matteo Salvini, sono leader di strada, si cibano di street food (l’orrendo mix che ingrassa e distrugge: grassi, sale, zucchero, ogm.), hanno entrambi, oltre a un obiettivo chiaro, anche una strategia precisa per raggiungerlo, la capacità di gestire la variabile più importante dei nostri giorni: il tempo, e dettarne i ritmi. Hanno capito, Salvini grazie alla sua rozzezza popolana, Renzi sulla sua pelle di “sedotto e abbandonato”, l’essenza ultima del Ceo capitalism: “trasformare i politici in kapo e la gran massa dei cittadini in zombie, schiavi da un lato del metadone-reddito di cittadinanza e dall’altro immersi in una perenne competizione (al ribasso) con migranti disperati, delegando alla Cina il “mercato” e a Silicon Valley il futuro della specie umana. Un nazi-orrore, dove l’uomo e Dio sono stati decapitati”.
Nel frattempo, mentre Luigi Di Maio, e il suo curioso “consiglio dei ministri”, sbavano per fare un governo qualsiasi, gradito all’establishment e sollecitato dagli eurocrati (solito refrain: “ce lo chiedono i mercati”), i due Matteo si muovono all’unisono, pur in direzioni diverse e con obiettivi opposti, facendo un comune elogio alla lentezza (in politica paga sempre).
Salvini si occupa dell’Opa di Fi e dei moderati dentro e fuori il suo perimetro, finge di voler fare un governo di centro destra, ma se ne guarda bene, lascia il “boccino” a Sergio Mattarella, e cerca di stare il più lontano possibile dal Quirinale. Tanto sa che il lavoro sporco lo faranno l’establishment, la minoranza dem, Di Maio stesso, che poi nell’urna pagheranno pegno.
Renzi fa il gatto, lasciando ai topi famelici del Nazareno l’agitarsi, e più scompostamente lo fanno, tanto meglio è per lui. A differenza di loro, che vogliono comunque la sua testa, pur in assenza di una strategia credibile, lui, una strategia ben precisa l’ha. Quando lo riterrà conveniente, si ritirerà con le sue truppe (fedelissime) sulle colline della Rocca di Radicofani, si vestirà da Ghino di Tacco, e potrà campare per i prossimi cinque anni, taglieggiando i pellegrini delle élite italiche ed europee. Avrà fatto un accordo con Salvini per avere la copertura al Nord, questi a sua volta avrà capito che il nuovo obiettivo di Renzi non è più Roma ma un marchesato di montagna, per cui lascerà che si prenda tutte le sue vendette, tanto i nemici dell’uno sono anche quelli dell’altro.
Entrambi vogliono che l’establishment e il M5S sguazzino, via via indebolendosi, nel pantano del potere, per colpirli poi a morte già alle elezioni europee del 2019. Con due avversari così, focalizzati su un solo obiettivo, non vorrei essere nei panni di Di Maio. Inviterei i colti a studiarsi il caso Torino: nel processo di cambiamento delle classi dominanti è uno step avanti rispetto al resto del Paese.
Suggerirei poi i miei amici dell’establishment di approfondire la storia dei nostri secoli bui nei quali stiamo riprecipitando. Noi italiani le abbiamo viste tutte, perché tutte da noi sono già avvenute. E siamo sopravvissuti. E sopravviveremo anche a quattro idioti eurocrati e ai loro kapò nostrani.