I radicali della nuova generazione sembrano molto diversi da quelli della mia. Questi sono seriosi al punto da sembrare vecchi, hanno il viso perennemente teso e stropicciato. Quelli erano buffoneschi puttanieri nella vita e nelle parole, il loro Marco Pannella aveva la cinica rilassatezza del viveur, era la copia piccolo borghese di Gianni Agnelli, mai avrebbe proposto un referendum su un oggetto volgare come l’Atac di Roma. Questi però ce l’hanno fatta raccogliendo 33.000 firme (ne bastavano 29.000). Chapeau! Confesso che avrei preferito si aggiungesse a “liberalizzare” anche “privatizzare” visto che questo è l’obiettivo implicito del referendum.
Sono curioso di conoscere non tanto il risultato (ovvio, i No saranno quelli dei soli dipendenti e fornitori, e rispettivi famiglie), neppure il raggiungimento del quorum, quanto il come le Sinistre e le Destre romane (immagino entrambe per il Si) spiegheranno ai cittadini cosa significa, per loro, liberalizzare-privatizzare Atac. Mi auguro nessuno dica frasi del tipo “ottimizzare sia l’efficienza operativa del servizio, sia la dignità dei lavoratori”, ovvero, “sia la legalità, sia i diritti”, e baggianate simili, “taggate” anni Novanta. Qua ci vogliono non chiacchiere ma execution, cioè operare una strage di comportamenti illegali di ogni tipo, dimissionare quantità industriali di dipendenti e di fornitori, mandare al confino l’intera dirigenza, rottamare il parco dei bus, e così via. Vaste programme.
Nel mondo della politica e dei media quando si dice “liberalizzazione-privatizzazione” l’eccitazione dei migliori di noi (versione accademico-salottiera) esplode, se poi, come in questo caso, si associano due pezzi da 90, Francesco Giavazzi e Pietro Ichino, gli orgasmi multipli sono irrefrenabili. Il problema dell’Atac, come delle principali aziende pubbliche, è uno solo, risanare, visto che l’attività deve essere svolta comunque, trattandosi di un servizio pubblico. Ciò non vale per esempio per Alitalia, alla cui esistenza o meno sono indifferenti sia il mercato che i viaggiatori.
Si dice che Atac sia tecnicamente fallita, vedendo i numeri grezzi non si può non convenire, anche se “tecnicamente” è termine ipocrita: se fosse un’azienda privata i libri sarebbero da anni in Tribunale e i gestori sotto processo, i sindaci via via succedutesi in primis. Mi sfugge come si possa chiedere la privatizzazione di un’azienda fallita: è una contraddizione in termini. Come può non essere considerata fallita quando i debiti sono superiori al fatturato, quando gran parte degli utenti non pagano il servizio, quando i dipendenti sono più di diecimila e lavorano con standard molto inferiori al normale, quando i mezzi sono obsoleti e le riparazioni si fanno cannibalizzando i componenti dei veicoli esistenti, e si potrebbe continuare.
C’è una domanda basica che aleggia in tutti i casi di cosiddetta privatizzazione. Esiste un privato che possa farsene carico? Ovvia la risposta, nessuno. E qui viene fuori la pochezza intellettuale e politica del Movimento 5 Stelle: vittoriosi grazie all’urlo “onestà onestà” il giorno dopo della proclamazione dei risultati, sia di Roma che di Torino, avrebbero dovuto chiedere una “due diligence” ultra indipendente, quindi portare tutta la documentazione in Tribunale. Così come dovrebbero fare se vincessero in Sicilia dopo governi da malavita di Sinistra e di Destra: una due diligence alla Regione Sicilia, durerebbe anni e intaserebbe i tribunali e le carceri dell’isola.
Ripeto, escludo esista un privato, ovviamente perbene, disposto non dico a comprare ma ad accettare dal Comune di Roma la donazione dell’Atac, con una dote di dimensioni fantozziane. Ed escludo che partiti e, temo, cittadini romani (aggiungerei la stampa) accetterebbero al vertice di Atac un proprietario-manager che applicasse le regole della buona gestione a tale carrozzone. E’ probabile che l’attuale situazione faccia comodo a tutti gli attori coinvolti a vario titolo e finirà, non con una liberalizzazione-privatizzazione ma con una nazionalizzazione (gomma-ferro, suona pure bene).