Dal punto di vista dell’establishment, nostrano ed europeo, queste elezioni sono state una débâcle. Dopo essersi inventato un immanente pericolo fascista, poi evaporato al primo sole come una fake news istituzionale, hanno dovuto consuntivare la sconfitta dei tre (“vecchi”) che dovevano vincere (Renzi, Berlusconi, Grasso) e la vittoria dei tre (“giovani”) che dovevano perdere (Di Maio, Salvini, Meloni). Fino all’apertura delle urne erano convinti che il Partito della Nazione (Pd, Radicali, Fi, cespugli vari) sarebbe nato, al limite con pressioni e ricatti vari: essendo colti chiamano il ricatto moral suasion.
Il popolo italiano è stato chiaro come non mai, con il voto ha affidato a:
a) Di Maio il compito di ridare dignità al Sud, eliminando (riducendo) corruzione e povertà;
b) Salvini l’obiettivo di affrancarci dallo strapotere ideologico e fisico franco-tedesco in Europa, attraverso una non ideologica soluzione del tema “lavoro-immigrazione-sicurezza”;
c) al Pd l’opportunità di confermarsi come partito dell’establishment oppure ritrovare una sua cifra di sinistra (autentica).
Matteo Salvini (e Matteo Renzi, Chapeau! a lui) ha detto no all’inciucio. Il cerino ora lo ha in mano Di Maio. Questi sa di poter contare sull’establishment, attraverso l’ala aristocratica del Pd (renziana free), di LeU, dei Radicali e cespugli vari, e di tutti i media e gli intellò di regime. E’ già iniziata l’opera di mondare i cinquestelle di tutti i loro peccati presenti e passati (congiuntivi compresi).
L’onda lunga del referendum 2016, ove il popolo si è reimpossessato della sua Costituzione (ultimo collante rimastoci) è proseguita, con i risultati (sconvolgenti per le élite) del 4 marzo scorso. Siamo nell’ultimo miglio, ora tocca ai vincitori. Chi fra Di Maio e Salvini meglio saprà interpretare la volontà popolare emersa dalle urne una settimana fa, farà bingo. Lo certificheranno, fra un anno, le elezioni europee (modello proporzionale puro), lì uno dei due avrà il 51% (?), e noi cittadini potremo finalmente rilassarci.
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