Lo confesso: pur non essendo un economista, e forse proprio per quello, amo leggere, da comune cittadino quale sono, i numeri di Eurostat e poi fare una sintesi per i lettori. Prima di scrivere il Cameo di giornata, però, ceno con l’amico banchiere svizzero di cui parlo spesso, lui mi aiuta a non fare brutte figure. Un buon esercizio è stato analizzare i dati licenziati da Eurostat sugli indebitamenti e sui deficit pubblici, sia nell’Eurozona (i 28), sia nell’Area euro (i mitici 19), questi ultimi costantemente peggiori dei primi.
Prendiamo in esame l’Area euro. Nel secondo trimestre di quest’anno il debito pubblico dei 19 era pari al 91,2% del Pil, in leggerissima diminuzione rispetto al primo trimestre (meno 0,1%) e meno 0,9% rispetto all’anno prima. Sembrerebbe un buon segnale, ma non è così, l’obiettivo è raggiungere il 60% del Pil. Sarebbe come se, in una dieta dimagrante imposta per ragioni sanitarie, ci si compiacesse perché in un trimestre siamo diminuiti di un etto, anziché del paio di chili previsti dal protocollo.
Immediata la giustificazione degli economisti di regime e dei premier coinvolti: ciò è avvenuto perché il Pil è cresciuto poco, si riflette sul denominatore, e bla bla bla. Solita risposta, vera aritmeticamente, falsa nella sostanza, perché il debito è cresciuto in cifra assoluta, sia sul primo trimestre (più 70 miliardi), sia sull’anno scorso (più 204 miliardi), raggiungendo la stratosferica cifra di 9.679 miliardi (piccola notazione, quella cifra è riferita a 19 Paesi, l’Italia da soli incide per poco meno di 2.250 miliardi).
Se poi analizziamo le tabelle del rapporto deficit-Pil, il calo del disavanzo è minimo (1,5% versus 1,6%). Perché? Per il banale motivo che si è fermata la discesa della spesa pubblica, oggi al 47,9% del Pil. È giusto ricordare che la Svizzera, avendo fatto del rigore uno degli elementi chiave per la tenuta della sua economia e al contempo garantire la coesione sociale del popolo (dai più trascurata, ma socialmente strategica), ha un debito pubblico pari al 33% del Pil, e le spese statali intorno al 32%. Lo ripeto, rigore è tutt’altra cosa rispetto ad austerità. Chi confonde i due concetti, come fanno i politici italiani e molti economisti di regime, è un disonesto, oltre che politicamente idiota.
Ho la sensazione che il governo Renzi stia sprecando la risorsa più preziosa di cui dispone: il tempo. Temo che non si renda conto, tutto preso com’è dal terrore di perdere Palazzo Chigi, che non cadrà per un Sì o un No a un ridicolo referendum, o per una legge elettorale idiota come l’Italicum, e neppure perché non riuscirà a innescare la crescita. No, cadrà sul debito e/o sulle banche, gonfie di sofferenze e di titoli del debito pubblico. Questo sarebbe stato, e lo è ancora, un momento magico per abbattere il debito, ora che i tassi sono al minimo, ora che Mario Draghi, forse ancora per poco, fa comprare alla Bce l’ultima cartaccia vecchia dando cartaccia nuova. In questo contesto, dare mance elettorali è operazione inutile, i beneficiari le prendono (ci mancherebbe) ma se il rapporto di amorosi sensi fra leader e popolo si fosse rotto (come temo, per lui), sarebbero quattrini buttati, e ci vorrebbe ben altro per ripristinarlo.
Poi, noi del popolo il 2016 l’abbiamo già archiviato come anno perduto, siamo tutti, animalescamente, proiettati al 2017, perché percepiamo, seppur confusamente, che sarà un anno drammatico. C’è il nuovo presidente americano, ma già sappiamo che è nato zoppo; un’Angela Merkel che sarà anatra zoppa anche lei fino all’autunno prossimo; un François Hollande ormai anatra bollita; una Theresa May impegnata a realizzare una politica ultra sociale (spiazzando persino Jeremy Corbyn) disegnata al congresso di Birmingham. Aggiungiamo immigrazione e terrorismo, le code e i riverberi della sconfitta militare dell’Isis, e qua mi fermo. Avremmo bisogno di leader che avessero dei geniali colpi d’ala, dobbiamo accontentarci di individui che sperano in botte di culo.
Riccardo Ruggeri