In un recente Cameo mi auguravo che l’Alitalia venisse lasciata fallire, in fretta ma con dignità, nel silenzio composto di noi cittadini, dipendenti compresi, e tutti elaborassimo il lutto, visto che alla fine ci costerà, a seconda delle modalità, fino a 15 miliardi (stima solo mia). Perché i dipendenti hanno detto No? Perché loro sanno che è invendibile (non si vende un morto), può essere solo chiusa (sepolta), ma hanno scommesso che Matteo Renzi (e così l’establishment che lo supporta), non abbiano gli attributi per farlo. Penso abbiano avuto ragione.
L’Alitalia è la metafora del fallimento dell’Italia come Paese, nell’osceno trentennio 1990-2020 la nostra classe dominante finirà di dilapidare gran parte del patrimonio statale, senza neppure capire dove sta andando il mondo.
Alitalia è stata, in successione, un’azienda pubblica, semi pubblica, semi privata, privata. E da privata, ricordiamolo, è fallita, pur avendo al vertice tre esemplari top del management internazionale di oggi: Luca Cordero di Montezemolo, James Hogan, Cramer Ball. Si leggano i nomi dei ceo che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni: all’ingresso in Alitalia godevano di ottima stampa, erano la crème de la crème delle élite manageriali del paese, eppure hanno tutti fallito. Aperta parentesi: le aziende falliscono solo per colpa dei ceo, mai per colpa del mercato, dei sindacati, dei dipendenti.
C’è una fake news (istituzionale) che circola dal 2008: “Prodi aveva fatto il capolavoro, Berlusconi l’aveva distrutto”. Un falso, entrambi erano due vecchie lenze della politica e del business parastatale. Loro sapevano benissimo che Alitalia era fallita, ma sapevano pure che non poteva fallire, perché nelle sue viscere c’era un asset negativo, che dai bilanci non emergeva. Era l’esercito dei “50.000” che, o come dipendenti della compagnia o come dipendenti dell’indotto, erano quasi tutti concentrati nella capitale: la “Bomba Roma”, l’avevo chiamata allora. Impossibile per Roma rinunciare ad almeno 40.000 lavoratori ad alta retribuzione: il sistema Roma li avrebbe difesi fino alla morte. Così è stato, loro sono sopravvissuti, l’Alitalia è morta, lo Stato ha sborsato quasi 10 miliardi, ma la bomba è ancora lì, con miccia innescata. E nessuno osa avvicinarsi.
Si dice: ma Prodi era riuscito a venderla; certo, ma imbrogliando Air France. Quando i francesi se ne sarebbero accorti, avrebbero fatto esplodere la “Bomba Roma”. (Nota operativa: se sei un politico o un manager serio, e vuoi vendere un’azienda fallita, prima la “ristrutturi”, e la consegni “pulita” al compratore, ti costa meno e non ti torna poi indietro). Allora, subentrò Berlusconi (si disse che vinse le elezioni con questa mossa), l’affidò a degli incapaci come lui, tutti si spacciavano per imprenditori, per manager ma non lo erano, alcuni avevano già fallito nelle privatizzazioni. (Nota operativa: c’è un’abissale differenza fra “imprenditore” e “impresario”, così come fra “manager” e “deal maker”, gli uni, sono pochi, risanano e rilanciano le aziende in crisi, gli altri, sono tanti, le spolpano).
Dieci anni dopo, malgrado la gestione di privati e di manager prestigiosi siamo tornati alla casella di partenza, la “Bomba Roma” è tuttora lì. Ora c’è Renzi, la sua ambizione di potere è intatta, però si ritrova fra i piedi l’Alitalia. Continua a essere invendibile in Europa: chi se non un idiota compra un’azienda quando può acquisirne gli asset dal fallimento? Ma è invendibile anche nell’extra Europa, non solo per il vincolo europeo del 49%. Il presupposto strategico è sempre lo stesso: tocca, prima, al venditore far esplodere la “Bomba Roma”.
Ma chi ha gli attributi per farlo? Carlo Calenda? Non scherziamo, si è subito nascosto dietro locuzioni tipo: “sarebbe uno shock per il Pil”. Matteo Renzi? Non è intellettualmente strutturato alla bisogna. Come finirà? Il Governo Gentiloni-Renzi le fornirà via via “cassa”, attraverso prestiti statali che nessuno mai rimborserà, fingeranno di fare trattative, e Alitalia “brucerà cassa”, serenamente, come ha sempre fatto. Prosit.
Riccardo Ruggeri