Vent’anni fa, come studioso di modelli organizzativi e manager di vertice di una grande multinazionale (Fiat Holding) scoprii che non avevamo un protocollo, neppure uno straccio di strategia per affrontare un grande scandalo, come sarebbe poi stato Mani Pulite. E neppure l’aveva l’altra organizzazione (la Politica) con la quale ci confrontavamo. Sia le grandi aziende italiane e straniere, sia i partiti (di governo e di opposizione, missini e radicali esclusi), erano state tutte coinvolte. E, curioso, non avevano riflettuto sui loro comportamenti, dando per scontato che lobbying non significasse ciò che era in realtà: corruzione, punto, e non una modalità di vendita. E su cosa sarebbe successo se fossero stati scoperti.
In tempi non sospetti scrissi su un libro edito da Grantorino Libri Fiat, una storia d’amore (finita): “Gli imprenditori adottarono una linea di difesa sconsiderata, prima ancora che idiota, negarono tutto, ovvero si nascosero dietro loro collaboratori, sostenendo che erano state azioni autonome di singoli, che loro non avevano potuto controllare, stante i molti impegni e le complessità societarie dei rispettivi Gruppi”. Posizione risibile in termini di logica, infatti nessuno di costoro seppe mai rispondere a una domanda, spietata nella sua semplicità: “Ammesso e non concesso che voi non sapeste nulla, perché un vostro dipendente avrebbe dovuto sottrarvi dei quattrini, non per tenerseli, ma per corrompere funzionari pubblici, affinché questi operassero al fine di far guadagnare più quattrini a voi?” Sostenere che un dipendente rubi quattrini al suo padrone per darli a un terzo, affinché costui faccia guadagnare più quattrini al padrone stesso è idiozia pura. Conclusi con una riflessione “…. Negli anni successivi Fiat pagò un prezzo altissimo in termini manageriali (sui bilanci come ovvio non comparve): il contratto psicologico storico, intriso di sabauda lealtà fra Proprietà e Management si ruppe per sempre, la mitica squadra che aveva fatto grande la Fiat di Agnelli e di Romiti progressivamente collassò, la storia successiva lo certificò, se ne accorse persino Moody’s”.
Lo stesso, in piccolo, sta avvenendo per il “Giglio magico”. Quattro mesi fa scrissi: “Il caso Consip non mi piace, è un gomitolo nel quale si sono attorcigliati tutti i fili del potere di Matteo Renzi e dei suoi avversari, tutti i fili del marionettista Luca Lotti ….”. Il caso era composto da tre vicende: a) Una comune forma di corruzione fra un imprenditore (Alfredo Romeo) e un alto funzionario Consip (Marco Gasparri, reo confesso); b) un’indagine sui comportamenti (goffi) del padre di Matteo Renzi, Tiziano; c) un episodio di bonifica degli uffici Consip dalle microspie messe dalla Procura di Napoli.
I primi due rientravano nel novero dell’ordinaria amministrazione, l’opinione pubblica aveva inquadrato Babbo Renzi, era uno di noi, un pasticcione, implicitamente era stato perdonato. Il terzo si poteva chiudere in fretta, se tutti i personaggi coinvolti avessero detto la verità al magistrato, come fanno, ogni giorno, i bambini all’asilo con la maestra. Luigi Marroni: “Me lo hanno detto Luca Lotti e il mio presidente Luigi Ferrara, oltre a Filippo Vannoni”. Era sufficiente che ognuno confermasse, e il caso si sarebbe sgonfiato, al limite Lotti non sarebbe diventato ministro dello sport: per il paese un fatto irrilevante.
In termini di logica, di buonsenso, si fa fatica a credere che un personaggio come Marroni, con quella storia professionale alle spalle, con quei legami con l’entourage renziano, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, si possa inventare un falso, e pure così eccessivo, coinvolgendo artatamente molti altissimi personaggi pubblici. Nel frattempo, costui aveva messo a disposizione il suo incarico all’azionista (il ministro Pier Carlo Padoan respinse le dimissioni) e dichiarò di voler cancellare le gare, già assegnate ma sospette (irritando di certo i vincitori delle stesse). Si stava costruendo per lui il profilo del capro espiatorio, chi lo stava congegnando, a sua insaputa, si stava suicidando.
Per proseguire nell’analisi mi posi tre domande. Se i magistrati hanno interrogato Marroni come “persona informata sui fatti” (modalità abbastanza rara nel penale, stante che questo istituto ha norme molto precise) non significa forse che lo reputano molto credibile? Perché gli accusati, essendo di così alto lignaggio, non l’hanno querelato? Perché una forza politica (Idea, facente capo al senatore Quagliariello) presenta una mozione di sfiducia verso i vertici Consip (che c’azzecca direbbe Di Pietro)?
Mi sfugge perché Matteo Renzi abbia lasciato incancrenire questa vicenda, anzi abbia fatto precipitare la situazione, facendo dimettere, via ministro Padoan, i due membri del C.d.A. in quota Tesoro, anzi uno di questi, addirittura il presidente Ferrara, viene accusato di aver riferito false informazioni ai Pm (cioè si è rimangiato quanto detto prima, reato odioso per un alto servitore dello Stato: perché lo ha fatto?).
A Renzi conviene, politicamente parlando, offrire il petto ai suoi avversari esterni e interni su un aspetto così marginale del quale l’opinione pubblica si è già fatta una sua convinzione? E i magistrati pure, infatti l’aspetto curioso è che, a questo punto della vicenda, risultano tutti inquisiti, l’unico intonso, perché ha detto la verità fin dal primo momento, è Marroni, proprio quello che vogliono licenziare, montando questo inutile ambaradan parlamentare, politico, societario.
La spiegazione è solo una: il Giglio magico non esiste. Se fosse esistito, il protocollo avrebbe previsto che uno di loro (Lotti) si sarebbe assunto tutte le responsabilità, così le metastasi sarebbero state bloccate, l’organizzazione sarebbe sopravvissuta. L’immagine che trasferiscono invece è tutt’altra: quattro ragazzotti toscani allo sbando, buttatisi in un’avventura più grande di loro. Ora ho io una domanda da fare ai miei colleghi dell’establishment: perché puntate ancora su Matteo Renzi premier?