Urbano Cairo ha vinto, l’establishment ha perso

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Urbano Cairo ha vinto, Mediobanca ha perso, e con essa gli ultimi brandelli del potere onnivoro di Cuccia. Enrico Cuccia era un italico Robin Hood, onestissimo a livello personale, che “rubava” ai ricchi per dare il malloppo ad altri ricchi, purché tutto avvenisse a somma zero per l’establishment, che lui governava con pugno di ferro (ne era al contempo chairman e ceo). E soprattutto rispettando le gerarchie da lui assegnate: per usare una sua immagine (alpina), che ripeteva spesso, “Gianni Agnelli è il Cervino, gli altri imprenditori delle colline”. In un mio libro di una decina di anni fa, definii Cuccia, e il suo sistema di potere, una cuscuta, pianta a stelo filiforme, seppur leggermente curvo, che non incute a prima vista timore però è munita di pericolose brattee avvolgenti, potenzialmente mortali per chi le sta accanto. È una parassita, si nutre dei succhi dei vegetali che le stanno intorno.
Come giustamente osservava molti anni fa il finanziere Francesco Micheli, tutti i gruppi industriali che hanno avuto successo, o comunque che hanno resistito nel tempo, sono stati quelli che non si sono mai affidati alle cure (pelose, aggiungo io) di Mediobanca: due nomi su tutti, Michele Ferrero e Carlo De Benedetti. Ora possiamo certificarlo, il sistema Cuccia, è finito per sempre, e dobbiamo attribuirne il merito a un uomo, Cairo, che si è fatto da solo e da solo ha combattuto, rispettando le regole del mercato. Anche Cuccia si spacciava per liberale e mercatista, in realtà la sua concezione del mercato era proprietaria, se faceva i suoi interessi era mercato, in caso contrario non lo era. Alcuni lo chiamano il “doppio mercato”.
Grazie ad Alberto Crespi, avvocato storico di Mediobanca, che allora intervistai, capii che il vero punto di forza di Mediobanca fu il mitico Adolfo Tino. Curiosamente, il massimo di visibilità e di potere Mediobanca lo ebbe non ai tempi di Tino ma proprio nella sua fase di sostanziale declino, quella con Cuccia dominus.
La partita Rcs si è chiusa fra il 14 e il 15 luglio. Sono state due giornate topiche: attacco terroristico in Francia, tentato golpe in Turchia (sono andato a letto con al potere i militari masson-golpisti, mi sono svegliato con al potere l’islamico-golpista Erdogan: e se fosse stato un autogolpe?). Quando si scriverà la storia dell’acquisizione di Rcs da parte di Cairo, scopriremo delle similitudini fra i tre eventi, pur così apparentemente lontani.
Bene hanno fatto la maggioranza degli azionisti a scegliere il solitario Cairo e non la cordata arcobaleno di Andrea Bonomi. Rcs ha bisogno di una doppia ristrutturazione, economico-finanziaria e managerial-giornalistica. Sconcertante la gaffe della cordata arcobaleno, abituata a muoversi fra la City e Wall Street, a parlare per algoritmi con astrusi linguaggi: non conosce la novecentesca “partita doppia”. Cairo ha dovuto spiegare a Bonomi & C. che la parte cash della sua offerta non andava a influire sul valore delle azioni del suo gruppo, perché, come insegnano in terza ragioneria, a fronte di un uscita di 0,25 euro, per la magia della partita doppia dall’altra parte, oplà, trovi un pari valore di azioni Rcs. Imbarazzanti.
Come studioso di modelli di business, di modelli organizzativi, di comportamenti organizzativi del management, sono affascinato dalla sfida che Urbano dovrà  affrontare per il  riposizionamento strategico e la ristrutturazione di Rcs. Per me, oggi il business più interessante su piazza è quello dell’editoria, in particolare quella cartacea, proprio perché tutti lo considerano tecnicamente morto, prossimo alla sepoltura.
Certo, non c’è oggi un business più “maturo” che questo. L’esperienza di una vita mi ha insegnato che più un business è “maturo”, più può rivelarsi una macchina da soldi, a una condizione: le innovazioni devono essere radicali, concentrate in modo maniacale nei “processi”: modello di governance, modello di business, modello organizzativo (più è spregiudicato, meglio è), modello di selezione dell’apparato giornalistico (più è sotto strutturato, meglio è), attraverso un mix ottimale di grandi vecchi (non bolliti) a retribuzione simbolica, e giovani umili ma tosti, con retribuzioni superiori al mercato. E un direttore capace e perbene. Secondo Cairo, c’è.
La differenza fra un’azienda di successo e una scadente non la fa il prodotto (è un prerequisito) ma il mix proprietà-management (quando coincidono, il successo o il fallimento, sono più rapidi). Sono certo che Cairo lavorerà su due piani, quello più strategico dei processi (vedi sopra) e quello umile del bottegaio di periferia (che i master anglosassoni non solo non insegnano, ma disprezzano). Umilmente si dedicherà all’analisi delle fatture e degli ordini di acquisto, immagino dai 50 euro in su. Questa operazione a tenaglia (alta e bassa) costringerà i dipendenti e i manager in particolare a confrontarsi con la dura realtà del business dell’editoria. Non escludo morti e feriti.

Auguri, caro presidente (del Toro, of course).
www.riccardoruggeri.eu

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