Forse nei prossimi mesi si capirà se Renzi è solo fuffa e ambizione o un vero leader

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Sono amico personale di Massimo Recalcati e suo grande estimatore, qua mi riferisco all’intervista del 4 febbraio data a Federica Fantozzi per Unità tv, dal titolo “Renzi resta il figlio giusto, osteggiato dai padri padroni”. E’ stata una delle analisi (non politologiche) migliori sulla sinistra italiana che abbia letto. Il giudizio che lui dà di Matteo Renzi mi interessa molto perché considero Renzi uno dei politici più stuzzicanti di quella generazione, specie dopo la cocente sconfitta subita, in quanto, dal come gestirà i prossimi mesi, capiremo se è veramente un leader o solo un politico ambizioso.
Oggi l’analisi prevalente delle élite europee è grossolanamente consolatoria, esse sono convinte che un’ondata reazionaria, xenofoba, populista, ci abbia aggredito. Io ho, banalmente, una visione opposta. Per me, sono state le inettitudini imbarazzanti delle élite “globaliste” (Clinton, Bush, Obama, Cameron, la stessa Merkel alla disperata ricerca di fare business, trascurando tutto il resto), protrattesi per un quarto di secolo, a dare voce e ruolo ai tanto disprezzati “sovranisti”. Questi, checché ne dicano i globalisti, si sono limitati a occupare territori resi culturalmente insofferenti dalla supponenza dei primi. Le nostre élite, almeno fino al 4 dicembre, hanno visto Renzi come un argine a questi oscuri pericoli. Mi pare pure che la maggioranza filo Renzi non abbia dubbi che lui debba tornare in campo subito, senza neppure cambiare i suoi comportamenti organizzativi, mentre io, proprio nell’interesse di Renzi (di cui non sono certo adepto, ma neppure nemico), gli consiglierei di saltare un giro.

La mia analisi del contesto-scenario è molto diversa da quella prevalente, non credo per nulla che sarà il combinato disposto “globalizzazione-tecnologia” a cambiare i destini del mondo, se appena la politica facesse il suo mestiere. Dopo vent’anni di teorie californiane ci ritroviamo con interi business distrutti e nuovi sull’orlo del fallimento (persino l’organo dei salotti bene, l’Economist si è accorto che con il ceo-capitalism sono più le aziende che muoiono che quelle nuove, quelle di successo non fanno più innovazione di prodotto-processo, e neppure più investimenti, si limitano a star sedute su montagne di profitti (oltre tutto sottratti all’imposizione fiscale). Ci raccontiamo che siamo immersi nel mondo delle meraviglie della digital economy però quando misuriamo la “produttività”, che dovrebbe esserne esaltata, ci accorgiamo che cresce di poco, il progresso ristagna, come ce lo conferma l’ultimo libro di Robert Gordon sul tramonto dell’economia americana.

Curiosamente, queste aziende sono fantozzianamente liquide, mentre gli Stati sono fantazzionamente indebitati, al punto di essere quasi tutti sull’orlo della bancarotta, dopo aver fatto terra bruciata della solidarietà sociale, dei sindacati, del welfare, con i lavoratori ridotti a miserabili consumatori-zombie. Questo disegno porterà, in automatico, alla follia del reddito di cittadinanza, equivalente sociale del metadone di stato regalato giornalmente ai ragazzi dello zoo di Zurigo (esperimento, come noto, miseramente fallito).

Renzi come la pensa? Si sta accorgendo che le élite euro americane che stanno dietro a Trump (non dimentichiamolo mai, è il vecchio apparato industrial-militare che ha governato L’America fino alla caduta del muro) ne hanno abbastanza della retorica di Silicon Valley, e di quella dei clinton-obamiani, dominante da un quarto di secolo.

Da tempo mi pongo la domanda, a maggior ragione dopo l’ultima direzione Pd: Matteo Renzi è l’ultimo esemplare di un mondo che non vuole tramontare e che per questo lo attacca, o un giovane politico che, per un accidente della storia, si trova al potere senza avere spessore politico-culturale adeguato? Lo confesso: nei tre anni del suo consolato io non l’ho capito.

Riccardo Ruggeri

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