Invece di strillare contro i populisti le élite li accettino come avversari

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E’ un periodo divertente questo, i miei colleghi dell’establishment li vedo ringalluzziti grazie alle elezioni francesi, alla non vittoria di Theresa May, alle difficoltà di Donald Trump, alla speranza che in Italia i pentastellati siano in una fase discendente, al sogno che Matteo Renzi si annetta, con destrezza, le truppe cammellate di Silvio Berlusconi e faccia finalmente il partito della nazione per il quale sbavano, oppure se ne vada (per ora sono sussurri). E, ciliegina sulla torta, che Travis Kalanick si curi l’ansia da potere e torni presto, ancora più pimpante, a liberarci dai tassisti. Questo è il loro mondo.
Lo slogan “Se vuoi essere à la page, non puoi più essere né di destra né di sinistra, ma devi dirti nì nì, e metterti in marcia, in fila per due dietro al fighetto di turno (se del caso con le mani sulla testa)”, lo confesso, non mi garba. A me destra e sinistra piacevano separate. Ero sereno quando c’erano Margaret Thatcher e Ronald Reagan, loro abbassava le tasse, privilegiavano il merito, creavano ricchezza, davano dignità al lavoro, esageravano un po’? Allora noi cittadini votavamo per i sinistri (volevano farsi chiamare riformisti) che, spesso in modo confuso, almeno una parte di questa ricchezza, la ridistribuivano, investendo sul sociale e sul welfare. L’ascensore sociale, allora, andava su senza sosta, diminuivano i poveri, cresceva la classe media, ero certo che i miei figli, e poi i miei nipoti, sarebbero stati protetti da quel mezzo, autentica polizza assicurativa per il futuro. Ora non è neppure più concesso dire che “pur condividendo in toto la funzione guida delle élite liberali nelle società democratiche e aperte”, se quelli al vertice falliscono, perché incapaci, devono scomparire. Disse una volta un mio capo: “Un coglione rimane sempre un coglione, ovunque tu lo metta, e qualsiasi capacità costui abbia”.
Invece, ora se non sposi la prospettiva del nì nì sei fuori dal branco, se hai una tua storia personale, questa ti concede di stare un po’ nel limbo, poi se non ti decidi a tornare all’ovile, entri nel girone dei dannati, “l’osceno mondo dei populisti”, come lo chiamano. Essendo colti, danno anche una dignità storica a questa definizione che oggettivamente non ne avrebbe alcuna (sono in realtà cittadini normali che hanno idee diverse e non credono alle fake news istituzionali). Ti raccontano che il 1973 è l’anno zero dei cosiddetti populisti, in quell’anno nasce in Danimarca il “Partito del Progresso”, prende il 16%, a me parve un banale accidente della politica, ma loro finsero di preoccuparsi al punto da definirla la “prima ondata populista d’Europa” (lo dico sottovoce, ma passare la vita in un paese scandinavo, senza reagire, almeno una volta, con il voto, a quell’atmosfera nazi-luterana lo trovo impossibile. E’ come vivere nella California attuale). Poi ti dicono che alla metà degli anni Ottanta un’altra ondata populista (Jean-Marie Le Pen, Jörg Haider, un giovanissimo Umberto Bossi) aggredì l’Europa, creando rischi mortali per la democrazia. In verità erano tre personaggi più divertenti che pericolosi, eppure costoro, nella loro esaltazione giacobina, ci spacciarono una normale mareggiata novembrina nell’onda mito del surf, la californiana Maverick. L’anno scorso tre banali elezioni, svoltesi in modo democratico, ha fatto loro perdere la testa: grazie a due normali referendum in Uk e in Italia, due leader arroganti e bugiardi, chiaramente non all’altezza, sono stati abbattuti, in America una candidata “politicamente corrotta”, a detta dei suoi stessi fan, è stata sconfitta. Tutto qua, banale fisiologia politica.
Suggerisco ai colleghi dell’establishment un cambio di linguaggio: visto che i populisti non esistono, evitate questo termine, chiamateli avversari o nemici politici, potete rifiutarli, disprezzarli, ridicolizzarli, spesso se lo meritano, comunque la vostra stampa di regime si sta impegnando con successo, ma non fateli scomparire, vi servono. Attenti, questa strategia non paga, addirittura potrebbe giocarvi contro. Come diceva a noi giovani il nostro capo officina, monsù Faldella: “Calma e gesso, un giorno il mondo sarà vostro”. E questo mondo è già vostro, che volete di più?

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